Contratti a termine e contrattazione collettiva: così i primi interventi post riforma D.L. 48/2023
di Luca Vannoni Scarica in PDFDopo una fese di generalizzata stasi, tanto che recentemente la L. 18/2024 ha prorogato al 31 dicembre 2024 la possibilità di utilizzare, in luogo delle disposizioni della contrattazione collettiva, le ragioni “individuali” di natura tecnica, organizzativa o produttiva, si sono manifestati all’orizzonte i primi rinnovi che regolamentano il contratto a termine post riforma ex D.L. 48/2023, che, ricordiamo, ha assegnato alla contrattazione collettiva il potere esclusivo di dettagliare le ipotesi che legittimano l’utilizzo del contratto a termine oltre i 12 e fino a 24 mesi.
Premessa
Piaccia o meno, a seguito della riforma operata con il D.L. 48/2023, l’utilizzo di contratti a termine, tra le stesse parti, salvo l’ipotesi della sostituzione espressamente prevista dall’articolo 19, comma 1, D.Lgs. 81/2015, passa attraverso la preventiva regolamentazione da parte della contrattazione collettiva, di qualunque livello, purché rappresentativa ai sensi dell’articolo 51, D.Lgs. 81/2015.
Come strada alternativa, si è scelto di resuscitare, ma solo per un periodo delimitato, che doveva scadere il 30 aprile 2024 ma che è stato recentemente prorogato al 31 dicembre 2024 dalla L. 18/2024, le note ragioni tecniche, produttive e organizzative, matrice legale la cui vastità, nel periodo in cui era l’unico accesso al contratto a termine, si è disaggregata in incertezza applicativa, rimanendo nelle pieghe 2 elementi parimenti necessari, nell’integrazione di essa da parte della regolamentazione individuale, cioè la temporaneità e la determinatezza, che spesso hanno portato a giudizi di nullità della clausola a termine apposta.
Quasi contemporaneamente alla proroga, sono stati definiti alcuni rinnovi di importanti settori, come il Ccnl Studi professionali e il Ccnl Alimentari industria.
Infine, si tenga conto che l’azzeramento dei contratti a termine precedenti al 5 maggio 2023 ai fini dell’obbligo di motivazione, operata dalla conversione del D.L. 48/2023, può consentire di evitare l’utilizzo delle condizioni del contratto collettivo anche se si è superata la durata di 12 mesi.
Studi professionali: quando il termine può superare i 12 mesi
Il rinnovo del Ccnl Studi professionali, all’articolo 53, prevede 2 macroipotesi, che consentono di superare il limite di 12 mesi tra le stesse parti, e fino al limite massimo di 24 mesi:
- incremento temporaneo;
- nuove attività.
Prima di entrare nel merito di tali ipotesi, si ricorda che rimane necessario, in sede di redazione del contratto, che si specifichino le concrete ipotesi che rientrano nella “clausola aperta”, a prescindere che sia di natura legale o contrattuale.
Riguardo all’incremento temporaneo, esso è inteso dalle parti sociali come “l’incremento temporaneo dell’attività lavorativa conseguente all’ottenimento da parte del datore di lavoro di incarichi professionali temporanei di durata superiore a 12 mesi o prorogati di 12 mesi”.
Sulla base di tale disposizione, è quindi possibile superare i 12 mesi di durata di un contratto a termine quando il datore di lavoro ottiene incarichi professionali temporanei di durata superiore a 12 mesi o prorogati di 12 mesi.
Tale disposizione non sembra di semplice attuazione e sembra pensata per il caso in cui il contratto a termine esiga ab origine una durata superiore ai 12 mesi e non tiene in alcun modo conto che il superamento del valico dei 12 mesi spesso avviene per una sommatoria di vincoli contrattuali, anche intervallati tra loro.
L’unica ipotesi che non determina problematiche si verifica, infatti, quando l’incarico professionale ottenuto, che supera i 12 mesi, sostiene in via esclusiva l’assunzione di pari durata, che andrebbe perfettamente a integrare la disposizione collettiva in commento.
In realtà, tale ipotesi è alquanto rara, poiché la necessità di nuova forza lavoro discende molto spesso da una pluralità di incarichi contestuali, di durata varia, fattispecie che non ricadrebbe nel cono di validità della disposizione in commento. Inoltre, anche in caso di una necessità che superi i 12 mesi, le aziende tendono comunque ad assestarsi su tale durata, anche perché l’acausalità consente una gestione più semplice del rapporto. Ci si riferisce, in particolare, all’articolo 2103, cod. civ., in materia di variazione delle mansioni. In caso di assunzione acausale, il datore di lavoro ben potrebbe, nel rispetto dello ius variandi previsto da tale norma, assegnare il lavoratore a mansioni diverse rispetto a quelle di assunzione; se, viceversa, il contratto è causale, quest’ultima vincola lo ius variandi del datore di lavoro, in quanto, ancorché venisse rispettato al millimetro quanto previsto dall’articolo 2103, cod. civ., la variazione potrebbe delegittimare la causale (ad esempio, il lavoratore inizia a occuparsi di altro incarico professionale). La rarità è dovuta, inoltre, al fatto che il primo rapporto a termine spesso viene visto come una sorta di prova e, pertanto, si tende a sfruttare tutto il periodo di acausalità di 12 mesi. Alla scadenza del contratto acausale, nel permanere della necessità aziendale, il datore di lavoro valuterà se proseguire con quel lavoratore oppure instaurare un rapporto con un diverso soggetto. Ma se il residuo dell’incarico professionale è inferiore a 12 mesi – e stante l’acausalità del primo rapporto, non vi è traccia di esso – è possibile utilizzare tale causale per integrare la disposizione contrattuale?
Il fatto, poi, di avere agganciato tale disposizione agli incarichi temporanei di durata superiore ai 12 mesi rende tale disposizione difficilmente utilizzabile, soprattutto in caso di proroghe e rinnovi.
Ipotizziamo che un lavoratore sia stato già assunto per 12 mesi, acausali. Alla scadenza, acquisisco un nuovo incarico: per avere la possibilità di prorogare il contratto di lavoro di massimo 12 mesi dovrei avere un incarico superiore a 12 mesi.
Già questo rappresenta un elemento privo di ogni logica. Inoltre, non consentirebbe, con questo lavoratore, di procedere a proroghe o rinnovi in caso di incarichi di breve durata, anche in situazioni al limite del paradosso (se avessi un lavoratore con 18 mesi di contratto alle spalle, in caso di nuovo incarico temporaneo di 6 mesi, insostenibile con il normale organico, sarei costretto a prendere un altro lavoratore, inesperto e tutto da verificare nelle sue competenze, ma con il contatore contrattuale immacolato e, quindi, acausale).
Passiamo ora al secondo punto, decisamente meno problematico.
Per nuova attività le parti sociali hanno inteso, viceversa, “l’avvio di nuove attività o l’aggregazione o la fusione di attività per i primi 36 mesi dell’avvio della nuova attività, aggregazione o fusione”.
Si consente, quindi, di superare i 12 mesi in caso di nuove attività dello studio: la genericità del termine attività sembrerebbe poter riferirsi anche a nuovi business sviluppati all’interno dello studio (ad esempio, studio di consulenti del lavoro che inizia a fare contabilità ovvero inizia a occuparsi di consulenza previdenziale) e non solo all’inizio dell’attività professionale. Tuttavia, tenuto conto che le ulteriori 2 ipotesi riguardano “aggregazione o fusione dello studio”, nuova attività potrebbe essere letta anche in termini restrittivi (come inizio assoluto dell’attività professionale).
Altre disposizioni di interesse sul contratto a termine nel Ccnl Studi professionali
Il recente rinnovo Studi professionali contiene, inoltre, altre di disposizioni di sicuro interesse.
Innanzitutto, si prevede che i rinnovi possono avvenire senza soluzione di continuità, disapplicando la norma degli stop and go, di cui sinceramente non si comprende la ragione per cui sia ancora vigente nel nostro ordinamento.
Interessante è anche la regolamentazione del patto di prova: oltre all’incipit, fatti salvi futuri interventi normativi – ci si riferisce al DdL, che, tra le varie disposizioni, dovrebbe introdurre un meccanismo di riproporzionamento matematico, si fissa una soglia massima di durata per i rapporti fino a 10 mesi, lasciando il dubbio su cosa fare tra i 10 e i 12 mesi di durata. Vi è, poi, un’ulteriore disposizione che ne dimezza la durata in caso di contratti inferiori a 6 mesi e che sono stati stipulati per la prima volta tra le parti.
Si segnala, infine, la presenza di una graduatoria all’interno del diritto di precedenza su assunzioni a tempo indeterminato.
Il rinnovo 24 gennaio 2024 per le Cooperative sociali
Di approccio totalmente diverso, stante anche le peculiarità del settore, è stato l’intervento in materia di contratto a termine previsto per le cooperative sociali.
Riguardo alla durata dei contratti a termine, si stabilisce che “il termine è elevato a 36 mesi, nel rispetto dei contenuti di cui all’art. 19, comma 2 del D.Lgs. n. 81/2015”.
Su questo passaggio è opportuno procedere con attenzione: la possibilità di intervento in deroga, espressamente richiamata dalla contrattazione collettiva, si riferisce alla “durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti”, ordinariamente pari a 24 mesi, durata massima coincidente con quella per il singolo rapporto, prevista dall’articolo 19, comma 1, D.Lgs. 81/2015. Tuttavia, in quest’ultimo comma, la legge non delega in alcun modo alla contrattazione collettiva la possibilità di deroga. Pertanto, al di là delle questioni di opportunità di instaurare originariamente vincoli a termine di durata consistente, il patto a termine che avesse sin dall’origine una durata pari a 36 mesi potrebbe considerarsi nullo (gli stessi ragionamenti possono essere estesi anche all’ipotesi, prevista sempre dal Ccnl Cooperative sociali, che dilata a 40 mesi il termine di cui all’articolo 19, comma 2, D.Lgs. 81/2015, per i lavoratori svantaggiati di cui all’articolo 4, L. 381/1991).
Come ipotesi di utilizzo per periodi superiori a 12 mesi, il rinnovo presenta poi un elenco articolato:
“a) punte di intensa attività derivante da convenzioni o commesse eccezionali con attività lavorativa cui non sia possibile sopperire con il normale organico;
- b) per garantire le indispensabili necessità dei servizi assistenziali e la totale funzionalità di tutte le strutture durante il periodo annuale programmato di ferie;
- c) per l’esecuzione di progetti di ricerca nell’ambito dei fini istituzionali della cooperativa anche in collaborazione con Ministeri e altre istituzioni pubbliche o private;
- d) per l’effettuazione di nuove attività sociosanitaria, riabilitativo-psico-pedagogica, assistenziale, nonché promozionale non ordinarie in collaborazione con ASL, Province, Regioni, Comuni, Ministeri o altri Enti di durata predefinita fino alla strutturazione definitiva delle attività stesse;
- e) per sostituzioni di lavoratrici o lavoratori assenti per permesso straordinario non retribuito concesso dalla cooperativa;
- f) in caso di assenza prolungata dal servizio per ragioni di carattere giuridico (arresto, sospensione in attesa di giudizio, ecc.) nonché in caso di impugnativa di licenziamento da parte della lavoratrice o del lavoratore sino alla definizione del giudizio;
- g) per i lavoratori svantaggiati delle cooperative di tipo “b” di cui all’art. 1, Legge n. 381/1991 il cui progetto personalizzato preveda la necessità di un termine al rapporto di lavoro”.
Al di là di qualche punto che, stante l’ipotesi sostitutiva prevista dall’articolo 19, comma 1, D.Lgs. 81/2015, non richiederebbe alcun dettaglio da parte della contrattazione collettiva, la tipizzazione operata sembra più facilmente integrabile a livello di contrattazione individuale, volendo fare un raffronto con il Ccnl Studi professionali, in quanto delinea ipotesi molto più specifiche.
Alimentari industria: le peculiarità del rinnovo 1° marzo 2024
In data 1° marzo 2024 è stato rinnovato anche il Ccnl Alimentari industria, settore che merita sicuramente attenzione, stante il carattere stagionale di molte attività.
L’articolo 18, innanzitutto, si preoccupa di fissare le condizioni che consentono al contratto a termine di superare i 12 mesi:
- esecuzione di un progetto, un’opera o di un servizio definiti e predeterminati nel tempo e non rientranti nelle normali attività (ad esempio, migrazione a nuovi software, cambi di sistemi informatici, etc.);
- realizzazione di progetti temporanei legati alla modifica e/o modernizzazione degli impianti produttivi e attivazione di nuovi processi produttivi (ad esempio attività di engineering e impiantistica).
La strada scelta al punto 1 ha sicuramente qualche assonanza rispetto a quanto aveva previsto il c.d. Decreto Dignità, disciplina poi abrogata dal D.L. 48/2023: è consentito superare i 12 mesi (nel rispetto del limite di 24 mesi) solo se il contratto a termine è finalizzato alla realizzazione di attività eccezionali e non ordinarie. Il punto 2, viceversa, contiene 2 sottocategorie: da una parte i progetti legati alla modifica o modernizzazione degli impianti produttivi, in linea con quanto previsto dal punto 1 (anzi, in assenza di quanto previsto dal punto 2, modifica e modernizzazione degli impianti sono sicuramente attività eccezionali che potrebbero integrare anche il punto 1), dall’altra l’attivazione di nuovi processi produttivi.
Particolarmente interessante è, poi, la regolamentazione del lavoro stagionale.
Innanzitutto, si richiama l’accordo 17 marzo 2008 sulla stagionalità, che rappresenta ancora il provvedimento di riferimento in materia. Si ricorda che tale accordo fu emanato in occasione di uno dei tanti interventi sulla disciplina del contratto a termine, la L. 247/2007 (il c.d. Protocollo Welfare), che introdusse 2 aspetti che rappresentavano per il lavoro stagionale non ex D.P.R. 1525/1963 scogli difficilmente superabili: il limite per sommatoria tra contratti, al tempo di 36 mesi, e l’abrogazione della disposizione che consentiva di non computare nei limiti massimi di utilizzo i contratti a termine sottoscritti “per l’intensificazione dell’attività lavorativa in determinati periodo dell’anno”; conseguentemente, l’intensificazione stagionale (ad esempio, attività aperta tutto l’anno che durante l’estate raddoppia la mole di attività), oltre a rientrare nel limite per sommatoria, nemmeno portava più in dote l’esclusione dai limiti quantitativi di utilizzo (fu, infatti, abrogata l’articolo 10, comma 7, lettera c), D.Lgs. 368/2001).
Con tale accordo quadro si trovò la soluzione: fu, infatti, prevista, non essendovi nessuna delega diretta alla contrattazione collettiva di ampliare le fattispecie di stagionalità prevista dal D.P.R. 1525/1963, un’espressa deroga al limite per sommatoria, escludendo da esso “le attività produttive concentrate in periodi dell’anno e finalizzate a rispondere ad una intensificazione della domanda per ragioni collegate ad esigenze cicliche e alle variazioni climatiche o perché obiettivamente connesse con le tradizionali e consolidate ricorrenze e festività, e per iniziative promo pubblicitarie, per un periodo di tempo limitato” (c.d. stagionalità allargata).
Inoltre, in virtù della delega prevista in materia di limiti di utilizzo, si mantenne l’esclusione a livello di Ccnl, ovviando anche alla seconda problematica sopra evidenziata.
Tornando al rinnovo 2024, per la c.d. stagionalità allargata – nonché per le ipotesi sostitutive, ma in questo caso rimandando ad accordi di 2° livello – si prevede l’esclusione dalla disciplina del c.d. stop and go, attuando la delega prevista dall’articolo 21, comma 2, D.Lgs. 81/2015. In più, rientrano nella deroga allo stop and go anche tutte le assunzioni di durata fino a 12 mesi (di fatto svuotando di interesse l’attuazione della deroga per esigenze sostitutive).
Si mantiene anche la specifica disciplina in materie di proroghe del lavoro stagionale “allargato”, consistente nella possibilità di prorogare ogni singolo contratto 4 volte, ferma restando la durata massima del singolo rapporto stagionale di 8 mesi.
In conclusione, sul lavoro stagionale, stante il fatto che in molti casi si interviene anche mediante la contrattazione collettiva di 2° livello, per evitare un contenzioso che può anche degenerare in pronunce coma la recente Cassazione, n. 9243/2023, si consiglia di non arrogarsi un potere di estensione del concetto di stagionalità, sfruttando poi implicitamente le deroghe per tale tipologia, ma di individuare espressamente che una determinata fattispecie, che può anche essere connotata nella definizione come stagionale, sia esclusa dai limiti per sommatoria, dai limiti quantitativi e, in abbondanza, dalla disciplina in materia di stop and go. In linea con quanto fatto nel settore alimentari industria.
Conclusioni
Nella presente analisi non si voleva ricostruire in modo analitico le regolamentazioni contrattuali di 3 importanti settori, ma evidenziare gli effetti delle recenti riforme operate sul tema, con particolare riferimento al D.L. 48/2023.
Non sempre le soluzioni offerte costituiscono sicuri approdi per i datori di lavoro che si trovano ad applicarle: la concreta attuazione richiede sempre che nel contratto individuale siano specificate ragioni che possano essere effettivamente ricondotte alle condizioni del contratto collettivo, tenuto conto che valutazioni che vengono effettuate all’instaurazione potrebbero non essere confermate dal dato storico. Si pensi, nel Ccnl Studi professionali, a un incarico superiore ai 12 mesi, che sostiene un contratto superiore a 12 mesi, ma che si interrompe per una disdetta nel rapporto professionale: che fine fa il contratto a termine (da una parte il gmo non è previsto come forma di recesso, dall’altra viene meno la causale legittimante l’apposizione del termine)?
Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza“.