Compensi sportivi e divieto di distribuzione indiretta di utili
di Alberto Borella Scarica in PDFSe da un lato il D.Lgs. 36/2021 ha espressamente disciplinato al suo interno la fattispecie di divieto di distribuzione di utili in relazione alla corresponsione di emolumenti “sopra soglia” ai lavoratori subordinati o autonomi, dall’altro lato ha lasciato irrisolta la questione circa le modalità di determinazione, in termini di vil denaro, di tale soglia. Nel presente contributo proveremo a formulare alcune considerazioni sul tema, nella speranza che siano di stimolo a un dibattito che porti il Legislatore, o in subordine la prassi, a fornire i necessari chiarimenti.
Il divieto di distribuzione utili a favore di dipendenti e collaboratori
L’articolo 8, comma 2, D.Lgs. 36/2021 qui in commento ha individuato nella corresponsione ai lavoratori subordinati o autonomi di retribuzioni o compensi superiori del 40% rispetto a quelli previsti per le medesime qualifiche dai contratti collettivi di cui all’articolo 51, D.Lgs. 81/2015, il limite oltre il quale si configura l’ipotesi di vietata distribuzione degli utili. Rammentiamo che sino al 30 giugno 2023, per l’individuazione della fattispecie illecita, valeva quanto sostenuto, in via interpretativa, dall’Agenzia delle entrate. Con la risoluzione n. 9/E/2007 era stato infatti ritenuto applicabile, per analogia data l’assenza di una specifica previsione, il limite previsto dall’articolo 10, D.Lgs. 460/1997, “Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale”, che peraltro lo fissava nella soglia del 20%. Dal 1° luglio 2023 questa percentuale, a seguito dell’intervento di riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici nonché di lavoro sportivo, è stata espressamente stabilita nel 40%.
Per quanto invece riguarda le modalità di determinazione del compenso massimo da riconoscere ai lavoratori sportivi onde non incappare nella sanzione prevista, per quanto consta a chi scrive, non esiste a oggi alcuna specifica indicazione di tipo operativo da parte degli enti interessati. Uno dei pochi ad affrontare la questione è stato il Ministero del lavoro con la nota n. 2088/2020 della quale parleremo più avanti.
Proprio a causa della mancanza di precise direttive ministeriali, gli operatori del settore si trovano ad affrontare una problematica particolarmente delicata quando devono individuare il compenso massimo erogabile al fine di non incorrere nella predetta fattispecie illecita di distribuzione degli utili.
Partiamo dal fatto che il D.Lgs. 36/2021 prevede all’articolo 8 – “Assenza di fine di lucro”, che:
“1. Le associazioni e le società sportive dilettantistiche destinano eventuali utili ed avanzi di gestione allo svolgimento dell’attività statutaria o all’incremento del proprio patrimonio.
2. Ai fini di cui al comma 1 e fatto salvo quanto previsto dai commi 3 e 4-bis, è vietata la distribuzione, anche indiretta, di utili ed avanzi di gestione, fondi e riserve comunque denominati, a soci o associati, lavoratori e collaboratori, amministratori ed altri componenti degli organi sociali, anche nel caso di recesso o di qualsiasi altra ipotesi di scioglimento individuale del rapporto. Ai sensi e per gli effetti di cui al presente comma, si applica l’articolo 3, comma 2, ultimo periodo, e comma 2-bis, del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 112”.
Va qui subito sottolineato come il termine “collaboratori” ponga un primo problema interpretativo in quanto il termine potrebbe essere inteso in senso lato ovvero riferito anche al lavoro autonomo puro e non solo alle collaborazioni coordinate e continuative. Una conferma di questa lettura pare ricavarsi dalla predetta nota n. 2088/2020 del Ministero del lavoro, dove si legge che:
“la contrattazione collettiva richiamata dagli artt. 8, comma 3 e 16, comma 1 del codice costituisce il benchmark di riferimento ai fini della corretta applicazione delle disposizioni ivi richiamate, anche con riferimento al lavoro autonomo, ivi comprese le collaborazioni coordinate e continuative”.
Anche il riferimento “a soci o associati, lavoratori e collaboratori, amministratori ed altri componenti degli organi sociali” necessita di chiarimenti. Prima della riforma degli enti sportivi il divieto di distribuzione utili era previsto dall’articolo 90, L. 289/2002 che così prevedeva:
“18. Le società e le associazioni sportive dilettantistiche si costituiscono con atto scritto nel quale deve tra l’altro essere indicata la sede legale. Nello statuto devono essere espressamente previsti:
… [omissis] …
d) l’assenza di fini di lucro e la previsione che i proventi delle attività non possono, in nessun caso, essere divisi fra gli associati, anche in forme indirette.”
Al centro del divieto, quindi, erano posti i destinatari, individuati dalla norma nei soli “associati”, ai quali non possono essere distribuiti utili, sia in forma diretta sia indiretta. Il divieto pareva non applicarsi quindi ai non associati, salvo la dimostrazione che tali soggetti fossero un mezzo per far giungere l’utile a un associato.
Oggi nel D.Lgs. 36/2021 non troviamo più questa precisazione ma – analogamente a quanto disposto per gli enti del Terzo settore – si dispone che è vietata, come abbiamo sopra visto, la distribuzione, anche indiretta, di utili e avanzi di gestione, fondi e riserve comunque denominati, “a soci o associati, lavoratori e collaboratori, amministratori ed altri componenti degli organi sociali”. Parrebbe quindi esserci stato un cambio di prospettiva per la quale al centro del divieto non ci sono più i destinatari ma l’operazione di distribuzione di utili, che diventa oggi illegittima ove operata nei confronti di una, oggi, ben più ampia platea di soggetti. Si precisa infatti che il divieto – lo sottolineiamo ancora una volta – opera non solo nei confronti di “soci o associati” ma anche in caso di “lavoratori e collaboratori, amministratori ed altri componenti degli organi sociali”. A nulla, quindi, rileverebbe che il lavoratore, il collaboratore o l’amministratore sia solo associato, solo tesserato o entrambe le cose.
Su questo punto inutile evidenziare l’urgenza di un chiarimento ufficiale.
L’individuazione del contratto collettivo di riferimento
Come abbiamo appena visto, per determinare l’entità massima del compenso si deve fare riferimento a quanto indicato dall’articolo 3, comma 2, ultimo periodo, D.Lgs. 112/2017 che, per quanto qui di nostro interesse, dispone quanto segue:
“Ai sensi e per gli effetti di cui al presente comma, si considerano in ogni caso distribuzione indiretta di utili:
a) … [omissis] …
b) la corresponsione ai lavoratori subordinati o autonomi di retribuzioni o compensi superiori del quaranta per cento rispetto a quelli previsti, per le medesime qualifiche, dai contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 …”.
Partiamo dal riferimento che l’articolo 51, D.Lgs. 81/2015 fa ai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali, che sono individuati in quelli “stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”.
Già qui c’è un primo problema in quanto i criteri e le modalità di individuazione dei contratti sottoscritti dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative non sono previsti da alcuna disposizione di legge, ma principalmente dalla giurisprudenza.
Seppur si possa ritenere che i Ccnl sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil siano di norma contratti “leader” ciò non toglie che in alcuni settori possano essere considerati, ai fini di cui sopra, altri contratti collettivi firmati da sigle sindacali diverse da Cgil, Cisl e Uil. Nel settore è presente, ad esempio, anche il Ccnl per i lavoratori dipendenti degli impianti e delle attività sportive sottoscritto da ASI Associazioni sportive e sociali italiane – MSA Manager Sportivi Associati – CNS Libertas Centro Nazionale Sportivo Libertas – Confolavoro PMI Confederazione nazionale delle piccole e medie imprese – FIS Federazione Italiana dello Sport e Fesica-Confsal Federazione Sindacati Industria, commercio e artigianato.
Questo contratto appare peraltro economicamente più vantaggioso per i lavoratori rispetto a quello sottoscritto dalla triplice in quanto prevede non solo la quattordicesima mensilità, ma anche un numero maggiore di ore ferie, permessi e ROL. Rilevante sempre per questo aspetto anche la prevista revisione automatica degli “importi della retribuzione nazionale conglobata, di anno in anno, in base alla variazione media annuale (Gennaio/Dicembre) dell’indice nazionale dei prezzi al consumo (NIC con tabacchi). Il valore minimo della rivalutazione della retribuzione nazionale conglobata, non potrà essere inferiore all’1%”.
L’importo massimo del compenso orario: calcolo prudenziale
Tenendo sempre in debita considerazione le premesse di cui sopra, per la questione “divieto di distribuzione utili” proviamo a considerare, ai fini della determinazione del compenso massimo consentito, il vigente Ccnl Palestre e impianti sportivi sottoscritto da Confederazione italiana dello Sport – Confcommercio imprese per l’Italia e Slc-Cgil, Fisascat-Cisl, Uilcom-Uil. Utilizziamo in via prudenziale l’accordo firmato dalla cosiddetta triplice dato che, come detto, gli accordi sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil sono ritenuti contratti cosiddetti “leader” per una sorta di diffuso, seppur discutibile, convincimento.
Il contratto prevede – in riferimento ad istruttori/allenatori – i seguenti inquadramenti:
“TERZO LIVELLO
A questo livello appartengono i lavoratori che svolgano mansioni di concetto o prevalentemente tali che comportino particolari conoscenze tecniche ed adeguata esperienza, e i lavoratori specializzati provetti che, in condizioni di autonomia operativa nell’ambito delle proprie mansioni, svolgono lavori che comportano una specifica ed adeguata capacità professionale acquisita mediante approfondita preparazione teorica e tecnico-pratica comunque conseguita ovvero conseguita con abilitazioni riconosciute sulla base di leggi nazionali o regionali o comunque rilasciate da FSN, DSA o EPS.
ALLENATORE/ISTRUTTORE (1) La qualifica individua allenatori/istruttori (2° livello del sistema SNaQ/Allenatore) che possono operare e progettare autonomamente attività, con atleti e partecipanti di ogni età, sia agonisti che non. Con gli agonisti operano normalmente a livello medio di qualificazione, assistendo atleti e squadre di livello regionale o nazionale. Lavorano in condizione di complessità medio-basse, in società sportive di ridotte dimensioni o in staff articolati di società sportive di maggiori dimensioni. Possono anche essere previsti compiti non complessi di supervisione e coordinazione di tecnici apprendisti.
(1) L’allenatore e l’istruttore permangono per un periodo di 18 mesi al 4° livello.
QUARTO LIVELLO
Al quarto livello appartengono i lavoratori che eseguono compiti operativi anche di vendita e relative operazioni complementari, nonché i lavoratori adibiti ad attività che richiedono specifiche conoscenze tecniche e particolari capacità tecnico-pratiche comunque acquisite, e cioè:
AIUTO ALLENATORE/ISTRUTTORE La qualifica individua Aiuto allenatori/istruttori (Livello 1° del sistema SNaQ/Aiuto Allenatore) che svolgono un’attività di assistenza e supporto tecnico ad altro allenatore/istruttore. I tecnici non sono autonomi e operano nella conduzione di attività di allenamento, di formazione tecnica e di assistenza alle competizioni sotto la supervisione di un allenatore/istruttore di qualifica superiore. Organizzano e conducono le sedute di allenamento degli sportivi utilizzando metodi, strumenti ed attrezzature sotto la guida di tecnici esperti. Conducono, sempre sotto una supervisione, la valutazione dell’allenamento”.
Parlando invece di retribuzioni l’ultimo loro adeguamento registrato è stato a ottobre 2022:
- 1.450,36 euro mensili – terzo livello;
- 1.329,82 euro mensili – quarto livello.
Per la determinazione della paga oraria (il c.d. Trattamento economico minimo orario) è previsto un coefficiente pari a 173 ore mensili da cui consegue:
- 8,38358 euro paga oraria – terzo livello;
- 7,68682 euro paga oraria – quarto livello.
Tali importi, maggiorati della prevista percentuale del 40%, diventano:
- 11,737 euro – Compenso orario massimo erogabile – terzo livello;
- 10,761 euro – Compenso orario massimo erogabile – quarto livello.
A voler essere pignoli il Ccnl prevederebbe anche la corresponsione di un elemento distinto della retribuzione (EDR) – collegato alla presenza e da corrispondere per 12 mensilità, non incidente su nessun istituto differito, compreso il trattamento di fine rapporto – di 3,50 euro mensili (identico sia per il terzo sia per il quarto livello) collegato alla presenza il che equivale a ulteriori 2 centesimi all’ora, ovvero 2,8 centesimi considerando la maggiorazione del 40%.
I conteggi qui proposti, seppur derivino come sopra precisato da un approccio prudenziale alla problematica, potrebbero essere messi in discussione per una serie di motivi.
In primis l’utilizzo del coefficiente 173 previsto dal Ccnl per la determinazione della paga oraria desta qualche perplessità e per questo essere contestato. Le ore potenzialmente retribuibili in un anno, infatti, risultano dal seguente calcolo:
– [365 giorni – 52 sabati – 52 domeniche] = 261 giorni annui
Questi 261 giorni potenzialmente retribuibili – ove considerassimo le classiche 8 ore giornaliere dal lunedì al venerdì – corrispondono a un totale annuo di 2088 ore retribuite (festività e ferie comprese), monte ore che, suddiviso sui 12 mesi, fornisce un divisore mensile pari a 174[1].
Senza considerare che negli anni bisestili il risultato darebbe un coefficiente di 174,67.
In entrambi i casi otterremmo un divisore mensile superiore a quello di 173 previsto dal Ccnl e quindi a cascata un compenso orario massimo erogabile più basso.
Parliamo di differenze di centesimi di euro ma non vorrei che, come Martin per un punto perse la cappa, qualche Asd perdesse i benefici della L. 398/1991 per qualche centesimo di euro.
L’importo massimo del compenso orario: una possibile alternativa
Un altro metodo di calcolo – dal mio punto di vista più aderente allo spirito della norma – prevede che nella retribuzione possano anche essere considerate le retribuzioni indirette e differite.
Per individuare quindi il compenso orario massimo tale da escludere una indiretta distribuzione degli utili, si potrebbe individuare la retribuzione onnicomprensiva lorda in quella spettante al lavoratore dipendente per ogni ora di effettiva presenza al lavoro.
Questo approccio comporta che:
Terzo livello
- 1.450,36 euro mensili – minimo contrattuale;
- 120,86 euro mensili – rateo tredicesima;
- 111,78 euro mensili – rateo ferie;
- 22,36 euro mensili – rateo permessi e ROL;
- 107,43 euro mensili – rateo Tfr;
- 3,50 euro mensili – Elemento distinto della retribuzione (EDR).
In questo caso otterremmo una retribuzione onnicomprensiva lorda mensile pari a 1.816,29 euro a cui corrisponde un compenso orario lordo di 10,49878 euro. Questo risultato lo chiameremo Trattamento economico complessivo lordo per ogni ora effettivamente lavorata.
Il suddetto importo, maggiorato del 40%, porta a 14,698 euro il compenso orario massimo erogabile che dovrà essere rispettato per non incorrere in una possibile contestazione di distribuzione indiretta di utili.
Per i lavoratori con collaborazioni sportive superiori a 2 anni con la stessa Asd/Ssd andrebbero peraltro considerati i teorici scatti di anzianità maturati pari a:
– 24,79 euro mensili – rateo scatti anzianità.
Questo per ogni biennio di prestazione e con un massimo di 5 scatti.
Si potrebbero inoltre considerare le maggiorazioni contrattuali per lavoro festivo, domenicale e notturno. Ma potrebbero rilevare sia l’indennità di trasferta sia il c.d. welfare aziendale, oltre ai premi di produttività, ma solo se previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalle RSU.
Quarto livello
- 1.329,82 euro mensili – minimo contrattuale;
- 110,82 euro mensili – rateo tredicesima;
- 102,49 euro mensili – rateo ferie;
- 20,50 euro mensili – rateo permessi e ROL;
- 98,51 euro mensili – rateo Tfr;
- 3,50 euro mensili – Elemento distinto della retribuzione (EDR).
In questo caso otterremmo una retribuzione onnicomprensiva lorda mensile pari a 1.665,64 euro a cui corrisponde un Trattamento economico complessivo lordo per ogni ora effettivamente lavorata di 9,62797 euro.
Questo importo, maggiorato del 40%, porta a 13,479 euro il compenso orario massimo erogabile limite da non superare per non incorrere nella contestazione di distribuzione indiretta di utili.
Anche per questo livello, sempre in relazione a lavoratori sportivi con collaborazioni superiori a 2 anni con la stessa Asd/Ssd, si dovrebbero considerare i teorici scatti di anzianità pari a:
– 23,24 euro mensili – rateo scatti anzianità.
E ciò per ogni biennio di prestazione e con un massimo di 5 scatti.
Anche qui da valutare la rilevanza delle maggiorazioni contrattuali per lavoro festivo, domenicale e notturno, dell’indennità di trasferta, del c.d. welfare aziendale e anche dei premi di produttività, sempre se espressamente previsti dai contratti collettivi di cui all’articolo 51, D.Lgs. 81/2015.
Come si diceva questo secondo metodo appare più coerente con lo spirito della norma che intende evitare che, tramite una collaborazione di tipo sportivo, un soggetto possa percepire più di quanto percepirebbe se fosse stato inquadrato come lavoratore subordinato. Si consideri infatti che l’importo come qui sopra calcolato è esattamente quanto viene corrisposto al lavoratore a chiamata per ogni ora di presenza al lavoro.
La metodologia sopra individuata sembra peraltro vagamente confermata dalla già citata nota del Ministero del lavoro, la nota n. 2088/2020, nella quale si può leggere quanto segue:
“poiché le norme in questione fanno riferimento ai contratti collettivi di cui all’articolo 51 del d.lgs. n.81/2015, i valori della retribuzione da prendere in considerazione saranno quelli scaturenti dai diversi livelli della contrattazione collettiva (nazionale, territoriale o aziendale). In particolare, stante il generico riferimento dell’articolo 8 comma 3 al concetto di retribuzione, si ritiene che debba essere presa a riferimento a tal fine anche la parte variabile della retribuzione, purché prevista nei contratti collettivi di cui all’articolo 51 del d.lgs. n.81/2015, applicati all’ETS”.
Il riferimento alla “parte variabile” della retribuzione – da intendersi quella parte dello stipendio che viene corrisposta in seguito al raggiungimento di obiettivi concordati – lascia intendere la positiva propensione a considerare quale retribuzione legittimamente erogabile quanto complessivamente spettante al lavoratore subordinato, che comprende quindi non solo la retribuzione diretta anche quella indiretta e quella differita.
Considerazioni finali
La determinazione del compenso orario massimo erogabile, ovvero il limite oltre il quale scatta la fattispecie di distribuzione vietata degli utili, appare, come abbiamo visto, alquanto difficoltosa.
L’auspicio è che sul punto vi sia un più che urgente intervento da parte degli enti preposti al controllo onde evitare l’instaurarsi di un contenzioso che sarebbe dannoso per tutti ma soprattutto per il movimento sportivo dilettantistico italiano alle prese con una disciplina complessa che, nonostante la norma dal 2021 a oggi sia stata rivista e sistemata – tra decreti-legge, leggi di conversione e decreti legislativi – una decina di volte, presenta ancora troppi punti oscuri.
[1] Attenzione che potremmo ottenere un divisore diverso sia negli anni in cui i sabati e/o le domeniche sono 53 ma anche nelle aziende i cui lavoratori godono del giorno di riposo diverso dalla domenica o in quelle che prevedono una disomogenea distribuzione giornaliera dell’orario di lavoro settimanale.
Si segnala che l’articolo è tratto da “Il giurista del lavoro“.