Istruzioni AdE per tassazione smart working
di Roberto Lucarini Scarica in PDFAl centro di un recente intervento dell’AdE, circolare 25/2023, si trovano alcune indicazioni in tema di tassazione del lavoro subordinato svolto in smart working, partendo dalla considerazione che tale forma di lavoro agile consente un’effettiva distanza fisica del lavoratore dalla sede del datore di lavoro che usufruisce della prestazione, potendosi trovare ad esempio detti soggetti in differenti Stati. Trattandosi di un atto di prassi molto corposo, nelle presenti note ci limiteremo ad evidenziarne solo alcuni tratti ritenuti operativamente più interessanti.
Ciò che occorre subito sottolineare, e che salta all’occhio dalla lettura del testo in esame, è come a fronte della rilevante evoluzione tecnologico – organizzativa che ha vissuto negli ultimi anni il mondo del lavoro – dove sono emerse tipologie di svolgimento dell’opera come quella del lavoro agile – si riscontri un immobilismo normativo sul tema riguardante il concetto di residenza fiscale.
L’AdE ricostruisce con attenzione i principi di diritto tributario interno che regolano, appunto, la residenza fiscale di un soggetto (articoli 2 e 3 Tuir), ribadendo come il tutto faccia perno essenzialmente sui concetti civilistici di residenza (o dimora abituale) e domicilio (sede principale di affari ed interessi) (articolo 43, cod. civ.).
Come noto, infatti, si considerano fiscalmente residenti in Italia le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile. Ciò, in sintesi, significa che debbano considerarsi residenti nel nostro Paese, ai fini tributari, le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta, ossia 183 giorni in un anno (184 in anno bisestile come il 2024): siano iscritte nelle anagrafi della popolazione residente; abbiano nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio; abbiano nel territorio dello Stato italiano la propria residenza. Attenzione a quanto specificato dall’AdE nell’atto in commento, ossia che “tali condizioni sono tra loro alternative, con la conseguenza che anche la sussistenza di una sola delle stesse è sufficiente a radicare la residenza di una persona nel territorio dello Stato”.
Da tali indicazioni si intuisce come, fatta eccezione per la situazione di iscrizione alle anagrafi dei residenti ovvero all’Aire (anagrafe italiani residenti all’estero) per la maggior parte dell’anno solare, situazione fattuale ed oggettiva, il riscontro della sussistenza in Italia di un effettivo domicilio o residenza sia invece un’attività non proprio semplice da espletare e necessitante di un’apposita indagine.
Si ricorda, inoltre, come al soggetto residente in Italia si applichi l’Irpef sul reddito complessivo posseduto del soggetto stesso ed ovunque prodotto nel mondo, concetto della c.d. worldwide taxation principle. A tale aspetto si lega infine quella che è conosciuta come normativa convenzionale, la quale prendendo spunto dalla Convenzione Ocse contro le doppie imposizioni fiscali, si esplicita de facto in singole convenzioni stipulate tra Stati concorrenti per regolare ed armonizzare i rispettivi principi tributari, evitando così ai contribuenti una possibile doppia tassazione. Tale normativa, sulla base dello schema Ocse, in tema di residenza ai fini tributari propone anzitutto una valutazione della disciplina interna di ogni Stato concorrente; solo nel caso di conflitto tra le disposizioni dei due Stati si dovrà applicare uno specifico criterio gerarchico, che passa solto il nome di tie breaker rules. In tale situazione, pertanto, la Convenzione prevede il prevalere del criterio dell’abitazione permanente cui seguono, in via subordinata, il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità del contribuente.
E’ in tale contesto normativo, tutt’altro che semplice, che si innesta il problema del lavoro agile, al quale peraltro non spetta alcuna eccezione rispetto alle indicazioni prescrittive che abbiamo esaminato, dovendosi semmai valutare come dette norme si debbano al momento adattare alla pratica di un lavoro svolto fisicamente in altro Stato estero.
L’AdE, nel testo del proprio atto di prassi in esame, propone alcune casistiche che possono essere così sintetizzate:
Caso 1:
Cittadino straniero, non iscritto nelle anagrafi della popolazione residente, che lavora dall’Italia in smart working per un datore di lavoro estero e che quindi permane, per la maggior parte dell’anno solare, presso un’abitazione ubicata nel nostro Stato unitamente alla famiglia.
Sebbene formalmente non residente, si deve tuttavia considerare che il soggetto, per la maggior parte del periodo d’imposta, mantiene stabilmente nel territorio italiano la sede principale dei suoi rapporti personali e affettivi. Per tale motivo tale soggetto avrà radicato la propria residenza fiscale in Italia, divenendo pertanto soggetto alla tassazione interna.
Caso 2:
Cittadino italiano che si è trasferito all’estero, dove svolge un’attività lavorativa in smart working, e ha mantenuto l’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta.
Tale soggetto viene quindi a qualificarsi come residente in Italia in ragione del requisito anagrafico, per cui dovrà sottoporre a tassazione tutti i suoi redditi nello Stato italiano.
Caso 3:
Cittadino italiano, risultate iscritto all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) per la maggior parte del periodo di imposta, che abbia sottoscritto un contratto di lavoro con un datore estero nel quale sia indicata come sede ordinaria di lavoro il Paese risultante dall’iscrizione all’AIRE o in altro Stato estero.
Nel caso di svolgimento della prestazione lavorativa in Italia, con modalità agile, e di mantenimento nel nostro Paese della dimora abituale, tale soggetto risulta fiscalmente residente in Italia e quindi soggetto alla tassazione interna.
Caso 4:
Cittadino italiano che si è cancellato dalle anagrafi della popolazione residente in Italia, trasferendosi in uno degli Stati o territori individuati nel decreto del Ministro delle Finanze del 4 maggio 1999 (Stati a fiscalità agevolata) per svolgere un’attività di lavoro da remoto per un datore di lavoro localizzato in un terzo Stato.
Salvo prova contraria, a carico del contribuente, tale soggetto continuerà ad essere considerato residente e soggetto a tassazione in Italia per tutti i suoi redditi.
Caso 5:
Cittadino italiano non residente in Italia, in quanto non integra alcuno dei presupposti ex articolo 2 Tuir, che dal suo effettivo Paese di residenza rende le prestazioni per un datore di lavoro italiano.
In mancanza dei presupposti normativi, tale soggetto non si considera assoggettabile ad imposizione in Italia.
Caso 6:
Cittadino italiano assunto da un datore di lavoro estero che ha trasferito la propria residenza nello Stato del datore di lavoro. Tale soggetto, tuttavia, svolge la propria attività in smart working in Italia.
Prescindendo da qualunque valutazione sulla effettiva residenza del lavoratore, i redditi da quest’ultimo percepiti per il lavoro svolto da remoto nel territorio dello Stato sono imponibili in Italia.
Come detto, il Legislatore dovrà intervenire sul concetto di residenza fiscale, tentandone una modernizzazione a fronte dei notevoli sviluppi operativi proposti dalla realtà produttiva; la cosa sembra già essere stata considerata, visto quanto disposto ex articolo 3, comma 1, lett. c, L. 111/23 “Delega al Governo per la riforma fiscale”.