La presunzione di inadeguatezza è più elegante dell’abrogazione
di Riccardo Girotto Scarica in PDFIl mese di luglio accompagna l’entrata in vigore del decreto legislativo introduttivo della tutela Whistleblowing.
Se le aziende che hanno occupato mediamente più di 250 dipendenti devono già oggi aver pensato all’adeguamento, e considerato che chi adotta i modelli 231 non si spaventerà di fronte a un ulteriore sistema di segnalazione, molto più problematico sarà il rispetto della disciplina per le aziende occupati oltre 50 dipendenti.
Queste ultime, infatti, rappresentanti una larga parte del tessuto produttivo del nostro paese per dimensioni e struttura della governance, subiranno un aggravio notevole dal nuovo adempimento.
La considerazione che il D.Lgs. 24/2023 riguardi temi unicamente organizzativi, o di gestione comunicativa interna, è molto pericolosa in quanto omette la valutazione del tema sul piano giuslavoristico, portatrice di notizie poco confortanti e influenzante i processi di gestione del personale delle aziende interessate.
Sul punto preme il comma 4, articolo 17 rubricato “divieto di ritorsione” che introduce una deflagrante presunzione tesa a qualificare come ritorsive una serie di potenziali azioni coinvolgenti il personale segnalatore. Andando a scandagliare l’elenco delle tipizzazioni, si coglie come l’attività di gestione delle risorse umane potrebbe essere totalmente ingessata qualora postuma rispetto alle segnalazioni.
Ciò contrasta con la direttiva europea ispiratrice del Decreto italiano, la stessa infatti considera ritorsione unicamente il maltrattamento strettamente collegato con la segnalazione. Tale onere probatorio, sicuramente viene invertito dal nostro Legislatore tramite l’inserimento della presunzione.
A titolo esemplificativo vale la pena rassegnare alcune condotte innescanti la presunzione:
- licenziamento, sospensione o misure equivalenti;
- retrocessione di grado o mancata promozione;
- mutamento di funzioni, cambiamento del luogo di lavoro, riduzione dello stipendio, modifica dell’orario di lavoro;
- sospensione della formazione o qualsiasi restrizione dell’accesso alla stessa;
- note di merito negative o referenze negative;
- adozione di misure disciplinari o di altra sanzione, anche pecuniaria;
- discriminazione o trattamento sfavorevole;
- mancata conversione di un contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, laddove il lavoratore avesse una legittima aspettativa a detta conversione;
- mancato rinnovo o risoluzione anticipata di un contratto di lavoro a termine.
Gli esempi riportati, tratti dall’ampio elenco proposto dal decreto, possono rientrare nella quotidianità aziendale; rileva pertanto come gli addetti alle risorse umane debbano necessariamente venire a conoscenza dei segnalatori, nonché restare informati circa l’evoluzione di ogni singola indagine, finanche stimolandone la presa in carico da parte dei gestori del canale di segnalazione ed evitando l’inerzia.
Laddove una delle azioni da compiere riguardi un segnalatore, pare scontato che il fascicolo di prova utile al superamento della rigida presunzione dovrà essere decisamente ricco. Ulteriore complicazione all’operatività quotidiana.
Si assuma inoltre che la segnalazione potrebbe ben giungere da un ex dipendente – ricordiamoci peraltro che talvolta chi lascia l’azienda lo fa con il dente avvelenato – ma anche da un mero candidato, stante l’estensione della possibile segnalazione per eventi sorti in fase preassuntiva.
Per tutto quanto esposto chi scrive ritiene che il canale di segnalazione debba essere gestito dal soggetto addetto alla gestione del personale, o comunque da questo presidiato. Di seguito si propongono le diverse argomentazioni a sostegno di questa tesi.
Si pensi al lavoratore a termine segnalante l’azienda che ha tradito la legittima aspettativa di conversione a tempo indeterminato del suo rapporto. Nella nozione di legittima aspettativa sicuramente rientra il diritto di precedenza, pertanto, necessario sarà avviare un sistema di monitoraggio dell’interesse a far valere la precedenza.
Si pensi all’adozione di un provvedimento disciplinare. Fondamentale sarà conoscere nel dettaglio l’eventuale segnalazione e lo stato dell’arte dell’indagine connessa, così da capire se emergono aspetti utili ad avvalorare o smontare eventuali contestazioni, sapendo che ogni provvedimento verrà comunque considerato “dalla Legge” a titolo di rappresaglia. Pulire tale macchia non sarà semplice.
Si pensi a un colloquio di lavoro dove qualche domanda o anche il contenuto dell’annuncio possa aver innescato una discriminazione: il candidato escluso potrebbe oggi avere uno strumento per segnalare la condotta aziendale, ecco che la presenza e la gestione di questi passi da parte dell’area risorse umane, tramite soggetti debitamente formati al funzionamento delle nuove presunzioni così da favorire una gestione fluida dell’azienda.
Necessario sarà anche evitare che la segnalazione possa diventare uno scudo per il dipendente allergico al dettato dell’articolo 2104, cod. civ.. Il responsabile del personale ben dovrà stimolare la rapida gestione di ogni segnalazione, così da liberare l’azienda dal fardello ed evitare che ogni azione disciplinare denoti pregiudizio.
Con riferimento agli ex dipendenti, l’area HR dovrà avere la massima cura di tutelare l’azienda da future segnalazioni pretestuose. Il Decreto legislativo in commento confeziona un diritto di segnalazione indisponibile al dipendente, quest’ultimo non potrà quindi rinunciarvi se non in sede protetta. Sarà perciò importante affidarsi ai soggetti a cui sia noto quando i rapporti di lavoro si concludono tramite un accordo assistito ex articolo 2113, cod. civ., comma 4, così da inserire la clausola di rinuncia anche per tale aspetto; oppure quando non si concludono tramite accordo, così da spingere verso l’accordo in sede assistita almeno di questa rinuncia.
Concludendo non si ometterà un richiamo al tema del momento, la condivisione con le organizzazioni sindacali, questa volta declinata dal disposto unicamente come informativa senza rischio veto, passaggio concretamente destinato ai soggetti che in azienda curano le relazioni sindacali, laddove presenti, e che fanno di tutto per evitarle laddove assenti.
Personalmente di fronte a questo imponente sistema dagli aspri riflessi giuslavoristici, la mia avversione per le presunzioni raggiunge punte massime. Le presunzioni rappresentano un sistema per sopperire alla carenza di attività di indagine, di fatto un assist al giustizialismo e una mortificazione del garantismo, ma soprattutto un’ammissione di inefficacia del diritto positivo.
Dovendo proprio convivere con le presunzioni, proviamo a crearne una per deduzione. L’intervento del D.Lgs. 24/2023 ha ritenuto che l’articolo 7, L. 300/1970 disegni una procedura che oggi si dimostra debole. La presunzione assoluta che ne ricaviamo è che le norme che hanno compiuto 50 anni, oggi risultano inadeguate. Eppure, ne conserviamo il testo come una reliquia per paura della protesta di piazza.
Ecco formata la presunzione assoluta di inadeguatezza della norma.