La tassazione del danno da demansionamento: indicazioni dalla Corte di Cassazione
di Roberto Lucarini Scarica in PDFSul tema della tassazione di specifiche indennità erogate in tema di risarcimento, nel campo del lavoro, occorre fare molta attenzione alla natura stessa del danno indennizzato.
Come noto, infatti, l’analisi si muove essenzialmente su una distinta qualificazione del ristoro che le somme erogate producono:
- una ricostituzione della parte di reddito del lavoratore indebitamente perduto;
- una ricostituzione del patrimonio del lavoratore ingiustamente danneggiato.
Nel primo caso si parla di “lucro cessante”, andando il risarcimento a integrare quella parte di reddito indebitamente persa dal lavoratore. Proprio per tale natura sostitutiva ed integrativa del reddito l’erogazione in discorso assume, sul piano fiscale, una medesima valenza reddituale. Ciò è quanto esplicitato ex art. 6 co. 2 primo periodo Tuir: “I proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti”.
Diversa sorte, invece, per quelle erogazioni, che passano sotto il nome di “danno emergente”, che vanno a ricostituire il patrimonio del danneggiato. Proprio per tale motivo, infatti, non si assiste ad un incremento della ricchezza (tassabile) del lavoratore, ma solo ad una mera ricomposizione di un patrimonio in qualche modo leso, situazione quindi che non prevede alcun arricchimento del soggetto. Tale concetto, peraltro, può estendersi dal danno patrimoniale strictu sensu, fino al danno di natura psico-fisica.
L’Ordinanza della Cassazione di cui ci interessiamo (n. 8615/2023) spiega proprio tali concetti, nell’ambito di un accordo transattivo, tra datore e lavoratore, in tema di demansionamento. In sostanza nell’atto citato, che di fatto ratificava l’avvenuta dequalificazione, veniva riconosciuto un risarcimento del danno, andando tuttavia ad indicare, quali cause dello stesso, delle motivazioni molto generiche.
Da qui i due principi espressi dai Supremi Giudici:
- nel risarcimento del danno occorre andare a specificare, dettagliatamente, le causali reintegrate, precisando la quantificazione delle somme che vanno ad indennizzare lo specifico tipo di danno, tra lucro cessante e danno emergente. In caso di genericità, infatti, non è possibile sottrarre alcunché a tassazione, essendo l’erogazione derivante direttamente dal rapporto di lavoro;
- per sostenere la mancanza di tassazione, sulla parte inerente il danno emergente, è necessario che le parti, nell’atto transattivo, esplicitino, con evidente precisione, le causali del danno patrimoniale o psico-fisico indennizzato, danno che dovrà essere dimostrato con adeguati mezzi probatori.
Le tesi esposte dalla sezione tributaria della Suprema Corte, facenti parte peraltro di un indirizzo consolidato, oltre a confermare il principio tributario riconosciuto nel Tuir, ci evidenziano come gli operatori, al momento di redigere l’atto di conciliazione, debbano porre la massima attenzione nell’elencare e puntualizzare le voci di danno oggetto dell’accordo, evitando pertanto clausole generiche che, inevitabilmente, finirebbero per attrarre all’assoggettamento al tributo diretto ogni dazione prevista.
Tale distinzione, tra lucro cessante e danno emergente, necessita inoltre di essere corroborata da una solida documentazione probatoria per le voci di indennizzo che si intendono non tassabili.