14 Giugno 2023

Lavoro stagionale: un’interessante pronuncia della Cassazione

di Luca Vannoni Scarica in PDF

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 9243/2023, ha considerato non stagionali attività legate a servizi aeroportuali in quanto la deroga contenuta nella contrattazione collettiva non dettagliava concretamente le attività stagionali. Si prende spunto dalla sentenza per procedere con alcune considerazioni riferibili al settore turistico.

 

Introduzione

In un momento storico dove la contrattazione collettiva si vede riconosciute in via esclusiva fondamentali competenze di regolamentazione, appare sicuramente meritevole di attenzione la recente pronuncia della Corte di Cassazione, n. 9243/2023, dove una disposizione della contrattazione collettiva, che individuava un’ipotesi di stagionalità, è stata considerata:

inidonea a dar corpo alla disposizione di legge perché non contiene alcuna specificazione di quali siano le attività che devono essere ritenute stagionali in quanto preordinate ed organizzate per l’espletamento limitato ad una stagione”.

Dopo averne analizzato il disposto, si cercherà di verificare se, alla luce della disciplina odierna, l’applicazione delle disposizioni della contrattazione collettiva possa rappresentare un rischio per quei datori di lavoro che, sulla base di essa, considerino stagionali determinati lavoratori a termine.

Si ricorda preliminarmente che, nell’ordinamento vigente, non esiste una nozione diretta e specifica di stagionalità, che possa essere utilizzata per qualificare i rapporti di lavoro in via generale come tali, ma solo richiami per specifici regimi in deroga.

Nel momento in cui fu redatto il D.Lgs. 81/2015, all’articolo 21, comma 2, dove si prevede l’obbligo di un periodo cuscinetto di 10 o 20 giorni nelle riassunzioni a termine, si inserì come soggetti in deroga a tale disposizione:

i lavoratori impiegati nelle attività stagionali individuate con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi. Fino all’adozione del decreto di cui al secondo periodo continuano a trovare applicazione le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525”.

A tale disposizione si agganciano, mediante un espresso richiamo, una serie di ulteriori deroghe, legate al limite massimo per successione di 24 mesi (articolo 19, comma 2, D.Lgs. 81/2015) e al limite quantitativo di utilizzo dei contratti a termine, 20% o diverso limite previsto nella contrattazione collettiva (articolo 23, comma 2, D.Lgs. 81/2015).

Come era facilmente prevedibile, il Decreto sulle attività stagionali non ha mai emesso il suo primo vagito e, quindi, come parametro normativo il riferimento è all’oramai datato D.P.R. 1525/1963, emanato al fine di specificare un elenco delle attività stagionali che legittimassero l’utilizzo del contratto a tempo determinato, allora regolato dal L. 230/1962.

Nell’elenco, oltre a una serie di attività rientranti nel campo agricolo, della pesca, dell’allevamento e dello spettacolo, trovano posto:

attività svolte in colonie montane, marine e curative e attività esercitate dalle aziende turistiche, che abbiano, nell’anno solare, un periodo di inattività non inferiore a settanta giorni continuativi o centoventi giorni non continuativi”, oltre a “fiere ed esposizioni” e “attività del personale assunto direttamente per corsi idi insegnamenti professionale di breve durata”.

L’ultimo richiamo all’interno del D.Lgs. 81/2015 al lavoro stagionale è rappresentato dal comma 1, articolo 21 (come modificato dall’articolo 1, D.L. 87/2018) dove è specificato che:

i contratti per attività stagionali, di cui al comma 2 del presente articolo, possono essere rinnovati o prorogati anche in assenza delle condizioni di cui all’articolo 19, comma 1”.

 

Il caso oggetto della pronuncia della Cassazione

La pronuncia della Corte di Cassazione trova origine nella sentenza della Corte d’Appello di Venezia che, accogliendo il ricorso presentato da 4 lavoratori nei confronti di una società attiva nel settore aeroportuale, in loro favore aveva ritenuto sussistente un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in quanto tra le parti erano intercorsi contratti a termine per un periodo complessivamente superiore a 36 mesi.

In base a un’interpretazione letterale e sistematica dell’articolo 5, comma 4-ter, D.Lgs. 368/2001, disciplina ora non più in vigore, che deroga all’articolo 5, comma 4-bis, dello stesso decreto, ha ritenuto che per applicare la deroga al tetto temporale imposto dalla norma è necessario che l’attività stagionale sia tipizzata e se ne evidenzi, nella norma collettiva autorizzata a individuarla, la speciale natura.

Ha poi escluso una sovrapponibilità tra la nozione di attività stagionale e quella di attività continuativa con picchi stagionali: in mancanza di una necessaria caratterizzazione dell’attività da porre a fondamento del legittimo superamento del limite massimo di 36 mesi, la norma collettiva sarebbe nulla. Analoghe considerazioni sono state poi svolte con riguardo alla disciplina applicabile ai contratti conclusi nel 2016, dettata dall’articolo 19, comma 2, D.Lgs. 81/2015 che rinvia all’articolo 21, comma 2, dello stesso decreto.

La Corte di Cassazione, partendo dall’esame della disciplina del D.Lgs. 368/2001, applicabile ai primi contratti intercorsi tra le parti e rispetto ai quali è stato accertato il superamento del limite dei 36 mesi, ha ricordato che tale norma consentiva l’apposizione del termine alla durata del contratto di lavoro subordinato da parte delle aziende di trasporto aereo o esercenti servizi aereoportuali, di terra e di volo, di assistenza a bordo ai passeggeri e merci, per un periodo massimo complessivo di 6 mesi da aprile a ottobre di ogni anno e di 4 mesi in periodi diversamente distribuiti, con rispetto delle percentuali di contingentamento fissate nella misura del 15% o di quella maggiore autorizzata dalla direzione provinciale del lavoro (ora ITL) per gli aeroporti minori.

Inoltre, con approccio simile alla disciplina oggi in vigore, si prevedeva che non si applicasse il limite per sommatoria di 36 mesi alle attività stagionali definite dal D.P.R. 1525/1963 nonché a quelle individuate “dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative”.

Entrando poi nel merito, la Suprema Corte ha ritenuto che nel concetto di attività stagionale, riferibile all’impresa, possano comprendersi soltanto situazioni aziendali collegate ad attività stagionali in senso stretto e non anche a situazioni aziendali collegate a esigenze di intensificazione dell’attività lavorativa determinate da maggior richieste di mercato o da altre ragioni di natura economica produttiva.

Le fluttuazioni del mercato e gli incrementi di domanda che si presentino ricorrenti in determinati periodi dell’anno rientrano nella diversa nozione delle cosiddette punte di stagionalità, dove si assiste a un incremento della normale attività lavorativa connessa maggiori flussi.

La stagionalità inoltre può essere riferita, oltre che all’attività imprenditoriale nel suo complesso, anche alla specifica prestazione lavorativa svolta dal singolo lavoratore, potendo discendere anche solo dal tipo di prestazione richiesta al lavoratore l’esigenza di una sua limitazione temporale.

Continua poi la Suprema Corte evidenziando come il D.P.R. 1525/1963, riferimento passato e presente per definire le attività stagionali, contenga:

un’elencazione da considerarsi tassativa e non suscettibile di interpretazione analogica delle attività da considerarsi stagionali. Si tratta di indicazioni che depone nel senso della necessaria tipizzazione dell’attività stagionale che, in imprese che svolgono continuativamente la loro attività, deve essere chiaramente identificata. Ne consegue che la contrattazione collettiva, autorizzata a individuare le attività stagionali rispetto alle quali opera la delega al divieto di superamento del limite massimo di 36 mesi di durata cumulativa dei contratti a termine, deve elencare specificatamente quali sono le attività che si caratterizzano per la stagionalità”.

Prima di entrare nel merito delle considerazioni conclusive contenute nella sentenza, è opportuno richiamare il testo dell’articolo 30, Ccnl trasporto aereo – attività aeroportuali, dove si prevede che:

Le parti, a mente del comma 4-ter, dell’art. 5 del D.Lgs. n. 368/2001 e successive modifiche, hanno primariamente confermato, anche nel solco di quanto già sancito dall’accordo del 21 aprile 2008, la specificità stagionale del dettato dell’art. 2 del citato D.Lgs. che ha tipicizzato la fluttuante dinamica del settore evidenziandone la presenza di esigenze strutturali di tipo stagionale nei periodi ivi individuati. Le parti ritengono inoltre di individuare nelle più generali esigenze rimarcate nel predetto testo normativo, specifici picchi di stagionalità rispettivamente compresi tra dicembre e gennaio, tra luglio e settembre in cui sarà possibile incrementare il limite massimo percentuale ivi previsto di un ulteriore 5%”.

Tale regolamentazione, ora non più in vigore, probabilmente anche per il contenzioso che ha determinato, appare estremamente imprecisa, oltre che scritta in un pessimo italiano, dove di fatto la definizione di stagionalità è limitata a rinvii e concetti tautologici (fluttuante dinamica…. specifici picchi di stagionalità rispettivamente compresi tra…), senza alcun dettaglio che ne possa individuare la stagionalità. Non appare immune da vizi anche l’approccio della Suprema Corte, che, di fatto, ragiona presupponendo l’esistenza di un concetto di stagionalità, che comunque deve essere integrato dalla contrattazione collettiva, quando, a livello normativo, non sembrano evidenziarsi limitazioni di intervento per la contrattazione collettiva.

A ogni modo, sulla base di tali premesse, la Cassazione ha ritenuto che l’articolo 30, Ccnl, applicabile al caso concreto:

non abbia, in attuazione della delega conferita alla contrattazione collettiva, provveduto ad individuare, secondo gli indicati criteri, le attività svolte dal personale di terra del trasporto aereo e delle altre attività aeroportuali che abbiano carattere di stagionalità. La norma collettiva si è infatti limitata ad un tautologico rinvio all’articolo 2 del D.Lgs. 368 del 2001, che regola in genere la possibilità di apporre un termine al contratto di lavoro per le società di trasporto aereo e dei servizi di terra, ed ha attribuito a tale …. una generica connotazione di stagionalità. In sostanza, la disposizione più che essere nulla per contrasto ad una norma imperativa, come afferma la sentenza impugnata, risulta inidonea a dar corpo alla delega operata dalla disposizione di legge poiché non contiene alcuna specificazione di quali siano le attività che devono essere ritenute stagionali in quanto preordinate ed organizzate per l’espletamento limitato ad una stagione”.

Viene poi considerato inutile, al fine della qualificazione come stagionale, il richiamo ai picchi di stagionalità individuati dal Ccnl (e compresi tra dicembre – gennaio e luglio – settembre).

Secondo la Suprema Corte,

questi infatti hanno riguardo proprio alla normale attività che si intensifica nei periodi indicati tanto da aver determinato le parti sociali, consapevoli della necessità di procedere ad un numero maggiore di assunzioni in quei periodi, ad aumentare la percentuale del cosiddetto contingentamento di un ulteriore 5%. Nessun elemento è desumibile dalla norma che consenta di individuare attività a carattere stagionale che, ove siano oggetto di un contratto a termine, non sono soggette al limite di legge di 36 mesi superato il quale il rapporto di lavoro diviene a tempo indeterminato”.

 

Considerazioni

La pronuncia sopra commentata pone rilevanti dubbi nel momento attuale, dove i datori di lavoro si trovano a dover gestire, soprattutto nelle attività turistiche, gli incrementi legati alla stagione estiva.

Pertanto, appare significativo raffrontare i concetti sopra elencati ed evidenziati dalla Corte di Cassazione nell’ambito di un contratto collettivo del settore turistico: prenderemo, a titolo di esempio, il Ccnl pubblici esercizi, ristorazione e turismo siglato da Fipe, tenuto conto, a ogni modo, che anche gli altri Ccnl comparativamente più rappresentativi del settore turistico si caratterizzano per una disciplina perfettamente comparabile.

L’articolo 90, Ccnl considera innanzitutto casi di legittima apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato le intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, quali:

– periodi connessi a festività, religiose e civili, nazionali ed estere;

– periodi connessi allo svolgimento di manifestazioni;

– periodi interessati da iniziative promozionali e/o commerciali;

– periodi di intensificazione stagionale e/o ciclica dell’attività in seno ad aziende ad apertura annuale”.

Tale previsione oggi appare ulteriormente rafforzata dal nuovo testo dell’articolo 19, comma 1, D.Lgs. 81/2015 (come modificato dal D.L. 48/2023), che demanda alla contrattazione collettiva l’individuazione dei casi di utilizzo dei contratti a termine (quando la durata supera i 12 mesi, anche a seguito di proroga, ovvero in caso di rinnovo): non tanto per il superamento con un singolo rapporto del periodo di 12 mesi, ma per l’individuazione di un’ipotesi legittima di rinnovo, che richiede una causale a prescindere dalla durata.

Con l’articolo 94 si deroga poi espressamente alla disciplina sulla successione dei contratti a tempo determinato di cui all’articolo 19, comma 2, D.Lgs. 81/2015 (dove si prevede il limite per sommatoria di 24 mesi) “nei confronti dei contratti di lavoro riconducibili alla stagionalità in senso ampio, quali i contratti a termine stipulati ai sensi degli articoli 89 e 90 del presente contratto”.

A chiudere il cerchio, si richiama poi l’articolo 89, dove si sottolinea come:

le parti, firmatarie il suddetto c.c.n.l. concordano che quanto definito dall’articolo 90 del c.c.n.l. per i dipendenti dei Settori pubblici esercizi, ristorazione collettiva e commerciale e turismo 8 febbraio 2018 soddisfa i requisiti legali richiesti dal decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 ai fini dell’applicazione delle specifiche normative”.

A ogni modo, l’aspetto che appare decisivo è rappresentato dalla espressa deroga al limite dei 24 mesi alle ipotesi di incrementi stagionali: anche a volerli considerare, sulla base dei principi evidenziati dalla Suprema Corte, contratti non stagionali, opererebbe comunque la deroga al limite per sommatoria, in quanto alla contrattazione collettiva, di qualunque livello purché rappresentativa, è riconosciuta tale possibilità (articolo 19, comma 2, D.Lgs. 81/2015), e la concreta realizzazione nel Ccnl Fipe appare sufficientemente specifica.

Il rischio di non considerarli stagionali, comunque, aprirebbe a ulteriori problematiche connesse alle deroghe che richiamano tale qualificazione, come la disciplina dello stop and go e i limiti quantitativi. Prospettandosi una stagione di interventi da parte della contrattazione collettiva, è comunque auspicabile che tale produzione si caratterizzi da parametri oggettivi e specifici, che possano essere agevolmente attuati nei contratti individuali, e da deroghe puntuali che non si fondino esclusivamente da qualificazioni generiche.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza”.

Tecniche di negoziazione e strategie relazionali nel contenzioso del lavoro