Mancato versamento dei contributi trattenuti al lavoratore e illecito penale: lo scenario attuale
di Manuela BaltoluNel messaggio n. 3516/2022 l’Inps effettua un vero e proprio cambio di rotta sul calcolo delle sanzioni dovute per mancato versamento della quota di contribuzione a carico del lavoratore, anche se in modo decisamente limitato.
Evoluzione del quadro normativo e di prassi
Il mancato versamento all’Inps, da parte del datore di lavoro, delle trattenute contributive effettuate sulle retribuzioni del lavoratore, può costituire illecito penale allorquando le retribuzioni siano state effettivamente corrisposte.
Sul punto, è ormai consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui si presume l’avvenuta corresponsione delle retribuzioni sulla base dell’effettuazione della trasmissione telematica dei modelli UniEmens, “che costituiscono natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro e fanno piena prova (articolo 2709 c.c.) a carico dell’imprenditore; la loro presentazione equivale all’attestazione di aver corrisposto, fino a prova contraria, le retribuzioni in relazione alle quali è stato omesso il versamento dei contributi” (Cassazione penale, n. 28674/2020), gravando, quindi, sul datore di lavoro l’onere di dimostrare “in difformità dalla situazione rappresentata nelle denunce contributive inoltrate, l’assenza del materiale esborso delle somme”.
L’articolo 2, comma 1-bis, D.L. 463/1983, convertito dalla L. 638/1983, disciplinava il trattamento sanzionatorio applicabile al datore di lavoro per l’omesso versamento delle ritenute, qualora non avesse provveduto a sanare l’illecito entro 3 mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione, punendolo con la reclusione fino a 3 anni e con una multa fino a 1.032 euro.
Successivamente, l’articolo 3, comma 6, D.Lgs. 8/2016[1], titolato “Disposizioni in materia di depenalizzazione”, riscriveva il citato articolo 2, comma 1-bis, D.L. 463/1983, lasciando invariato quanto previsto per omesso versamento di importi superiori a 10.000 euro annui, ovvero reclusione fino a 3 anni e multa fino a 1.032 euro, ma depenalizzando, appunto, il mancato versamento di importi fino a 10.000 euro annui, convertendo tale condotta da illecito penale a illecito amministrativo e introducendo la sola irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, di importo variabile da un minimo di 10.000 euro a un massimo di 50.000 euro, eliminando, quindi, la pena della reclusione del datore di lavoro.
Importo violazione | Vecchio regime D.L. 463/1983 | Nuovo regime D.Lgs. 8/2016 (depenalizzazione) |
Violazione fino a 10.000 euro |
Reclusione fino a 3 anni + multa fino a 1.032 euro |
Illecito amministrativo, solo sanzione:
– importo minimo 10.000 euro; – importo massimo 50.000 euro |
Violazione oltre 10.000 euro |
Reclusione fino a 3 anni + multa fino a 1.032 euro |
Reclusione fino a 3 anni + multa fino a 1.032 euro |
È opportuno ricordare che, in fase di prima applicazione della depenalizzazione, tali disposizioni sono entrate in vigore non solo per tutti gli illeciti commessi a partire dalla data di entrata in vigore del citato D.Lgs. 8/2016, cioè dal 6 febbraio 2016, ma anche per le violazioni commesse anteriormente a tale data, a condizione che i relativi procedimenti penali non fossero ancora stati definiti con sentenza o con decreto irrevocabile, ai sensi dell’articolo 8, D.Lgs. 8/2016.
Relativamente alla modalità di determinazione della soglia dei 10.000 euro annui, che, di fatto, costituisce il discrimine nell’identificazione dell’illecito amministrativo in luogo dell’illecito penale, l’Inps, nella circolare n. 121/2016, considera legittimo utilizzare l’anno civile (1° gennaio-31 dicembre), specificando, però, che i versamenti da considerare sono quelli relativi al mese di dicembre dell’anno precedente all’annualità esaminata (da versare entro il 16 gennaio), fino a quelli relativi al mese di novembre della medesima annualità (da versare entro il 16 dicembre), ricomprendendo in esso tutte le omissioni accertate, anche se riferite a diverse gestioni previdenziali in cui possa essere rilevata la fattispecie dell’omissione delle ritenute, ovvero estendendo, di fatto, anche ai rapporti con i collaboratori iscritti alla Gestione separata[2].
Sempre nella medesima circolare n. 121/2016, l’Istituto dettaglia le fasi del procedimento di contestazione dell’omesso versamento, che, relativamente agli importi fino a 10.000 euro, si considera avviato al momento dell’avvenuta notifica dell’accertamento della violazione[3].
Dalla data di notifica il datore di lavoro potrà, entro 30 giorni, presentare scritti difensivi o fare richiesta di audizione; dalla medesima data avrà 3 mesi di tempo per il pagamento degli importi omessi.
Nel caso non si provveda al pagamento entro 3 mesi, troverà applicazione la sanzione amministrativa prevista, di importo variabile compreso tra un minimo di 10.000 euro e un massimo di 50.000 euro.
Qualora il pagamento della stessa avvenga entro 60 giorni, si potrà accedere alla riduzione ai sensi dell’articolo 16, L. 689/1981, ovvero il più favorevole tra il doppio del minimo e il terzo del massimo, che, tradotto, significa scegliere tra 20.000 euro (doppio del minimo, ovvero di 10.000 euro) e 16.666,67, (1/3 del massimo, cioè di 50.000 euro); si tratta, pertanto, di scelta obbligata sulla somma più bassa, cioè 16.666,67 euro.
In ragione di ciò, ogni omesso pagamento inferiore a 10.000 euro, anche, per assurdo, di 200 euro, dava seguito all’applicazione della sanzione pecuniaria di 16.666,67 euro.
Giova sottolineare che, in conformità con quanto disposto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali nella circolare n. 6/2016, la sanzione in questione non è diffidabile ai sensi dell’articolo 13, D.Lgs 124/2004, proprio in virtù dell’applicazione dell’articolo 16, L. 689/1981 (sanzioni in misura ridotta come sopra specificato).
Da segnalare l’affermazione dell’Inps all’interno della stessa circolare n. 121/2016, secondo cui “La scansione temporale prevista dal citato art.16 – 60 giorni dalla notifica della violazione – appare pertanto compatibile con il termine – 3 mesi – definito nell’art. 2, comma 1-bis, della legge n. 638/1983. Infatti, secondo la ricostruzione esposta dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nella citata nota del 3 maggio 2016, il termine per versare le ritenute omesse prefigura un effetto sospensivo dell’efficacia delle sanzioni comminate sino alla scadenza del termine di tre mesi al datore di lavoro per effettuare il versamento di quanto dovuto”, assunto che sarà, come vedremo in seguito, completamente ribaltato.
Criticità pratiche di gestione
È doveroso segnalare che sanare le posizioni debitorie derivanti dagli omessi versamenti delle ritenute a carico dei lavoratori non è, a tutt’oggi, impresa del tutto semplice.
Trattandosi di importi già iscritti a ruolo, il cui pagamento deve avvenire presso l’agente della riscossione, occorrerà porre molta attenzione nella modalità di imputazione degli importi versati ai diversi capitoli del ruolo stesso, poiché i contributi a carico del lavoratore non sono indicati separatamente, ma all’interno del debito totale verso l’Inps comprendente la quota a carico dell’azienda, oltre all’addebito di interessi, sanzioni e aggi vari.
Pertanto, qualora il datore di lavoro volesse estinguere il procedimento di accertamento avviato dall’Inps entro i 3 mesi dalla notifica, l’importo pagato all’agente della riscossione dovrà correttamente essere imputato al tributo “8050”, che identifica, appunto, l’importo della sola contribuzione dovuta.
La problematica diviene ancor più “rognosa” nel caso in cui l’importo inserito a ruolo sia cumulativo di più mensilità, in quanto, in tal caso, non risultando possibile presso il concessionario alla riscossione l’imputazione su singolo periodo, spesso si verifica che, pur avendo l’azienda ottemperato al versamento dell’intero importo delle quote trattenute al lavoratore, il procedimento non possa essere estinto, in quanto alcune mensilità risulteranno prive di importi pagati per il mancato abbinamento.
Alcune sedi territoriali dell’Istituto stanno ovviando a tale problematica, consentendo eccezionalmente alle aziende di procedere al pagamento degli importi dovuti mediante modello F24, utilizzando la causale “RC01”, compilando un rigo per singola mensilità di competenza, e facendo richiedere successivamente la riduzione del carico iscritto a ruolo mediante comunicazione su Cassetto previdenziale.
Tale procedura non risulta, però, ufficializzata, pertanto è assolutamente auspicabile un intervento decisivo in merito, che l’Istituto può effettuare in totale autonomia.
È, infine, opportuno ricordare che l’illecito sussiste anche qualora i contributi non versati siano ricompresi in dilazioni di pagamento autorizzate dall’agente della riscossione; in tali casi dovrà essere preventivamente verificata l’effettiva sussistenza delle quote a carico del lavoratore al netto delle eventuali rate già pagate.
Gli interventi Inps nel 2022
Nell’anno corrente l’Istituto è intervenuto dapprima con la circolare n. 32/2022, in cui, oltre a riepilogare, come di consueto, riferimenti normativi e orientamento dell’ente, ha chiarito che, in caso di mancato pagamento della sanzione in misura ridotta[4] entro i 60 giorni successivi ai 3 mesi dalla notifica dell’accertamento della violazione, lo stesso avrebbe proceduto alla notifica dell’ordinanza-ingiunzione di pagamento della sanzione in misura intera, da sanare entro 30 giorni (60 giorni in caso di residenza estera dell’obbligato), per un importo compreso tra 17.000 euro (non più 16.666,67) e 50.000 euro, per la cui determinazione si sarebbe tenuto conto sia dell’ammontare delle ritenute omesse che dell’eventuale reiterazione della violazione.
Nel caso in cui l’interessato si trovi in condizioni economiche disagiate, può inoltrare richiesta di pagamento dilazionato, in rate mensili da 3 a 30, mediante presentazione, via pec, raccomandata o presso gli uffici, del modello “SC97 – Richiesta di pagamento rateale dell’ordinanza-ingiunzione (ai sensi e per gli effetti dell’art. 26 della legge n. 689/1981)”, da effettuarsi entro e non oltre 30 giorni dalla data della notifica dell’ordinanza di ingiunzione, a pena di inammissibilità.
Se la richiesta viene respinta, il pagamento dovrà essere effettuato in unica soluzione entro 15 giorni dalla notifica del provvedimento di reiezione della richiesta; in caso di accoglimento, invece, sarà notificato un provvedimento contenente gli importi e le scadenze dei pagamenti, di cui la prima rata comprensiva delle spese del procedimento, mentre non sarà applicata nessuna ulteriore maggiorazione e, pertanto, nemmeno gli interessi di dilazione.
Decorso inutilmente il termine fissato per il pagamento, si procede alla riscossione delle somme dovute avviando l’esecuzione forzata[5].
Successivamente, il 27 settembre 2022, l’Inps ha pubblicato il messaggio n. 3516/2022, che si potrebbe definire parzialmente “rivoluzionario”, rispetto a quanto detto finora.
Premettendo che l’orientamento seguito dall’Istituto sulla base delle indicazioni del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha causato, negli anni, “una serie di contestazioni anche in sede giudiziaria, che ha reso necessario approfondire con il medesimo Dicastero i profili di criticità emersi”, viene, come detto, ribaltato il principio secondo cui era applicabile alla fattispecie in trattazione l’articolo 16, L. 689/1981, che ora viene considerato, invece, incompatibile, per 2 motivazioni principali:
- in primis, perché il pagamento della sanzione in misura ridotta, da effettuarsi entro il termine di 60 giorni dalla contestazione o dalla notifica dell’accertamento della violazione, è incompatibile, nonché peggiorativo per il contribuente, rispetto al termine di 3 mesi dalla notifica dell’illecito di cui all’articolo 3, comma 6, D.Lgs. 8/2016;
- in secondo luogo, in quanto la rigidità dell’importo della sanzione ridotta di 16.666,67 euro non consente di applicare una sanzione di importo inferiore, né di modularla partendo dal minimo edittale di 10.000 euro.
Oltre a ciò, prosegue l’Inps, relativamente alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 8/2016 (6 febbraio 2016), interessate da procedimenti penali non ancora definiti, l’articolo 9, comma 5, D.Lgs. 8/2016, ha introdotto la possibilità del pagamento delle sanzioni in misura ridotta, pari alla metà della sanzione, proprio in ragione del fatto che la depenalizzazione è intervenuta nell’ambito di un procedimento penale già in precedenza pendente.
Considerato quanto sopra, l’Istituto introduce, quindi, un regime intertemporale per le sanzioni relative agli atti di accertamento riferiti a violazioni commesse in data antecedente al 6 febbraio 2016 con procedimento penale non definito. Per gli atti non ancora notificati, l’Inps notificherà gli estremi della violazione agli interessati, prima dell’emissione dell’ordinanza-ingiunzione, indicando la possibilità di sanare entro 60 giorni dalla notifica, versando, in alternativa all’applicazione del terzo della sanzione massima, ovvero 16.666,67 euro, un importo pari (ed ecco la sostanziale novità), alla metà della sanzione irrogabile, stavolta ricalcolata applicando formule e coefficienti indicati nell’allegato 1 al messaggio n. 3516/2022:
Come si evince da quanto indicato nello schema di cui sopra, la sanzione viene ora determinata applicando il coefficiente di 1,2 all’importo delle ritenute omesse, e aggiungendo un ulteriore importo calcolato moltiplicando la somma relativa alle ritenute omesse a un coefficiente aggiuntivo, che aumenta progressivamente al reiterarsi delle violazioni in un periodo di 5 anni.
L’importo ottenuto, qualora inferiore al minimo edittale di 10.000 euro, dovrà comunque essere adeguato a tale cifra, mentre, se superiore a 10.000 euro, si terrà conto di tale somma superiore.
Il procedimento potrà, quindi, essere estinto con il pagamento del minore importo tra il 50% del valore calcolato come sopra e 16.666,67 euro (cioè 1/3 della sanzione massima di 50.000 euro).
Esempi di calcolo
Importo ritenuta omessa | Calcolo sanzione (coefficiente 1,2 colonna a, allegato 1, messaggio Inps n. 3516/2022) | 50% sanzione rideterminata (regime intertemporale, in alternativa a 1/3 del massimo) | Sanzione ex articolo 16, L. 689/1981 (“vecchio criterio”, 1/3 del massimo) |
€ 600 | € 600 x 1,2 = € 720 inferiore al minimo di 10.000 euro, quindi da adeguare.
Importo dovuto € 10.000 |
€ 5.000 | € 16.666,67 |
€ 1.200 | 1.200 x 1,2 = 1.440, inferiore al minimo di 10.000 euro, quindi da adeguare.
Importo dovuto € 10.000 |
€ 5.000 | € 16.666,67 |
€ 9.800 | € 9.800 x 1,2 = € 11.760 superiore al minimo di 10.000 euro, quindi NON si adegua. Importo dovuto € 11.760 | € 5.880 | € 16.666,67 |
Per gli atti già notificati sarà inviata alle aziende una comunicazione con la rideterminazione degli importi delle sanzioni e, in tali casi, il procedimento sarà archiviato qualora si provveda al pagamento, entro 60 giorni dalla notifica, della metà della sanzione ricalcolata secondo l’allegato 1, o di 1/3 della sanzione massima. Questo procedimento di ricalcolo sarà applicabile a tutte le violazioni ancora sanzionabili commesse prima del 2016.
Per le ordinanze-ingiunzione già regolarmente notificate e non opposte, se relative a violazioni riferite a periodi fino al 2015, sussistendo le condizioni per l’applicazione del predetto regime intertemporale, la rettifica conterrà l’importo della sanzione ricalcolata secondo l’allegato 1 e l’indicazione della possibilità di effettuare il pagamento entro 60 giorni della metà della sanzione rideterminata o, se più favorevole, di 1/3 della misura massima.
Questo particolare regime di “sconto” non si estende, però, alle violazioni riferite a periodi dal 6 febbraio 2016 in poi, poiché la riduzione del 50% è strettamente riferita solo alle infrazioni commesse in periodi precedenti o con procedimenti non ancora definiti alla medesima data.
Pertanto, per quanto riguarda le violazioni decorrenti dal 6 febbraio 2016 in avanti, le sanzioni saranno ricalcolate secondo quanto disposto dall’allegato 1, ma non potrà essere applicata la predetta riduzione della metà dell’importo; inoltre, il relativo pagamento dovrà avvenire entro 30 giorni dalla ricezione della comunicazione.
Saranno rideterminati in base alle nuove modalità di ricalcolo anche i piani di ammortamento delle rateizzazioni richieste o accolte al 27 settembre 2022 (data di pubblicazione del messaggio n. 3516/2022).
Il problema della legittimità costituzionale
Il cambio di rotta di Inps e Ministero è senza dubbio positivo, soprattutto in considerazione dell’importante riduzione degli importi dovuti (si veda la tabella con esempi di calcolo), a fronte della modifica della determinazione delle sanzioni per le violazioni commesse precedentemente all’entrata in vigore del D.Lgs. 8/2016, tenuto conto della retroattività della depenalizzazione sancita del medesimo decreto.
Pur tuttavia, a fronte di una violazione ipotetica di 600 euro, la sanzione “ridotta” di 5.000 euro è pari a oltre 8 volte l’importo dell’omesso versamento.
E, se consideriamo che per le violazioni commesse dal 6 febbraio 2016 in poi la riduzione del 50% non spetta, per la medesima violazione di 600 euro, di cui sopra, la sanzione sarà pari a 10.000 euro (importo omissione moltiplicato il coefficiente di 1,2, adeguato al minimo di 10.000), ovvero quasi 17 volte l’importo non versato.
È, quindi, di tutta evidenza la sproporzione tra importo omesso, quando lo stesso è di modesta entità, e sanzione dovuta, tanto da sollevare dubbi di costituzionalità della norma, in contrasto con l’articolo 3, Costituzione, come coraggiosamente affermato dal Tribunale di Verbania nell’ordinanza del 13 ottobre 2022 – Rg. n. 192/2022, in cui si rileva che l’individuazione del minimo nell’importo di 10.000 euro porta a un’oggettiva disparità di trattamento in ordine alle violazioni sotto soglia, quando siano di importo talmente esiguo da non “meritare” una sanzione di tale importo: “il trasgressore per un importo minimo oggetto della omissione, pari ad esempio ad Euro 100, anche nella irrogazione della sanzione amministrativa minima prevista dalla legge pari ad Euro 10.000 viene in realtà sanzionato per un importo che rappresenta il centuplo della propria violazione. Ciò con una evidente asimmetria di trattamento dei cittadini che, pure, violando con diversa gravità il precetto normativo, non vedono tale diversa gravità altrettanto diversamente ponderata e graduata nella determinazione della sanzione”.
Nel caso specifico l’omissione era pari a 190,52 euro e la sanzione di 10.000 euro, pari a 52 volte l’importo omesso, “Ben al di sotto del quintuplo previsto in astratto quale sanzione massima per la violazione più grave[6]”, ma, anche qualora fosse ridotta al 50% per applicazione di quanto illustrato nel messaggio Inps n. 3516/2022, sarebbe sempre pari a 25 volte l’importo non versato.
Non ci resta, quindi, che attendere i tempi della Corte Costituzionale o, in alternativa, sperare in un intervento di modifica legislativa, che, probabilmente, potrebbe ridursi a una norma di interpretazione autentica che meglio chiarisca il concetto di corretta proporzionalità della sanzione.
[1] Entrato in vigore in data 6 febbraio 2016.
[2] Articolo 2, comma 2, L. 335/1995.
[3] Che dovrà avvenire nel rispetto dell’articolo 12, comma 1, L. 890/1982.
[4] Articolo 16, L. 689/1981.
[5] Ai sensi dell’articolo 27, L. 689/1981, in combinato disposto con l’articolo 30, D.L. 78/2010, convertito dalla L. 122/2020.
[6] L’importo massimo della sanzione, pari a 50.000 euro, costituisce il quintuplo dell’importo minimo di 10.000 euro.
Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza“.
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