16 Febbraio 2016

Meglio stabilizzati … o etero-organizzati?

di Marco Frisoni

 

Ad oltre sei mesi dall’entrata in vigore del D.Lgs. n.81/15 (25 giugno 2015), il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, tramite la circolare 1° febbraio 2016, n.3, ha formulato le prime osservazioni, valide come direttive per il personale ispettivo, in materia, per l’appunto, di riordino delle tipologie contrattuali presenti nel nostro ordinamento giuslavoristico, avvenuto per effetto del summenzionato provvedimento delegato.

In particolare, il summenzionato documento di prassi si sofferma sull’intervento che il Legislatore ha approntato sulla vituperata questione delle collaborazioni coordinate e continuative, con precipuo riguardo al superamento del c.d. contratto a progetto, modalità edulcorata per affermare, nei fatti, l’abrogazione di tale forma di lavoro “atipica”, decisamente invisa a gran parte del mondo sindacale (e non solo), poiché, al di là delle lodevoli intenzioni della Legge Biagi, che ne aveva sancito la regolamentazione, considerata il non plus ultra della precarizzazione ed alto tasso di aggiramento delle norme sul rapporto di lavoro subordinato.

In buona sostanza, si tratta di uno fra i tasselli di un ambizioso mosaico composto dall’attuale Esecutivo che, nel bene e nel male, in uno con altri rilevanti tasselli normativi (agevolazioni sul costo del lavoro, minore rigidità normativa, introduzione delle tutele crescenti, etc.), sollecita i datori di lavoro nel privilegiare il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in luogo di diverse forme di lavoro, che, ancorché formalmente legittime, risulteranno meno appetibili e, comunque, potenziale fonte di vertenza con il prestatore di lavoro ovvero con gli enti ispettivi.

In una siffatta ottica, quale aggiuntivo meccanismo orientato a dette finalità, il D.Lgs. n.81/15, all’art.54, ha previsto una sorta di stabilizzazione, con tanto di premialità per il committente/datore di lavoro che vi intenderà aderire e alla quale il Dicastero, nella circolare 1° febbraio 2016, dedica un apposito e specifico paragrafo.

Tale procedura merita talune considerazioni; in prima battuta, non siamo in presenza di una primizia di legge, posto che, già nel passato, si era assistito alla promulgazione, con alterne fortune, di disposizioni tese al consolidamento occupazionale, anche per il versante della Pubblica Amministrazione, mentre, in seconda battuta, non si può non sottolineare come, nel primo schema di decreto licenziato dal Consiglio dei Ministri, l’iter in analisi avrebbe dovuto dispiegare i propri effetti già nel 2015, pur tuttavia, a partire dalle bozze successivamente diffuse (e come confermato dal testo approdato nella Gazzetta Ufficiale), la stabilizzazione è stata differita a far data dal 1° gennaio 2016 con il (mal) celato intento di evitare che si potesse cumulare ai benefici già previsti (sterilizzazione del contenzioso con il collaboratore ed esenzione dall’irrogazione delle sanzioni previste per la riqualificazione ispettiva del contratto) l’esonero triennale contributivo di cui alla L. n.190/14.

Si rammenta, in maniera sintetica, che si tratta di un percorso spontaneo che potrà coinvolgere soggetti parti di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche nella modalità a progetto, ovvero di rapporti di lavoro autonomo intercorsi con soggetti titolari di partita Iva (risultano esclusi da detto percorso, in maniera tutto sommato inesplicabile, gli associati in partecipazione) e che si radica, di fatto, su due pilastri descritti dal D.Lgs. n.81/15, vale a dire la sottoscrizione, in una delle sedi protette di cui all’art.2113 cod.civ., di uno specifico accordo nel quale il lavoratore rinunzia espressamente ad ogni pretesa afferente alla qualificazione del pregresso rapporto di collaborazione (va da sé che, in sede protetta, meglio ampliare, ad ogni aspetto disponibile l’oggetto dell’intesa “tombale”), nonché l’obbligo, per il soggetto datoriale (quale “patto di stabilità”), di mantenere in servizio il lavoratore e, quindi, di non recedere prima che siano trascorsi dodici mesi, salvo che non sussista una giusta causa ex art.2119 cod.civ. ovvero giustificato motivo soggettivo di cui all’art.3, L. n.604/66, restando inteso che, in caso contrario, il soggetto datoriale non potrà avvalersi degli effetti estintivi in materia di sanzioni civili e amministrative.

Il Dicastero afferma, in maniera condivisibile, che la stabilizzazione porterà in dote, ai datori di lavoro, anche il c.d. esonero biennale appena introdotto dalla Legge di Stabilità per l’anno 2016, rendendo quindi ulteriormente appetibile il procedimento appena illustrato, ancorché sinteticamente.

Non solo; alla luce della piena operatività, dal 1° gennaio 2016, della rigida disciplina delle collaborazione coordinate e continuative che verranno ricondotte, pur rimanendo formalmente autonome, alla normativa del lavoro subordinato, in presenza di particolari indici di etero-organizzazione, la stabilizzazione appare come una sorta di ultima chiamata destinata ad incentivare i committenti/datori di lavoro ad orientarsi verso il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, rilevato che chi, anche legittimamente, si assesterà in altri territori, incapperà nelle ristrette maglie ispettive e, con tutta probabilità, in più frequenti ambiti di contenzioso con i lavoratori.

E, allora, sorge ancora l’amletico dubbio: meglio stabilizzati (o stabilizzare) ovvero etero-organizzati (oppure etero-organizzare e, auspicabilmente, non etero-dirigere)?

Ai posteri (ma, soprattutto, ai giudici) l’ardua sentenza …