Revirement giurisprudenziale sul repêchage
di Evangelista Basile
Come noto, l’onere della prova sulla sussistenza degli elementi costitutivi del licenziamento per giustificato motivo grava sul datore di lavoro, il quale deve quindi, in concreto, dimostrare:
- la sussistenza della causa del licenziamento del lavoratore;
- l’effettiva soppressione del posto di lavoro;
- il nesso di causalità tra la causa posta a base del licenziamento e la soppressione del posto.
Infine, la giurisprudenza ci insegna che il datore di lavoro deve anche valutare – in questi casi – l’impossibilità di “ripescare” utilmente il dipendente in mansioni diverse (c.d. repechage).
In sede processuale – ossia in caso d’impugnativa del licenziamento – l’orientamento prevalente della giurisprudenza era nel senso di imporre al dipendente licenziato per ragioni oggettive un obbligo di collaborazione nella dimostrazione della violazione del repêchage da parte del datore di lavoro, onerandolo di indicare le postazioni di lavoro alternative ove poter essere ricollocato. Spettava poi al datore di lavoro fornire la prova contraria.
La sentenza della Corte di Cassazione del 22 marzo 2016, n.5592, invece, ha segnato un evidente cambio di rotta in tema di assolvimento dell’onere della prova in materia di repêchage.
Più precisamente, la Corte di Cassazione ha affermato che è esclusivamente onere del datore di lavoro dimostrare l’impossibilità di ricollocare il dipendente in altre posizioni alternative, al pari di tutti gli altri elementi costitutivi del licenziamento per giustificato motivo.
Il ragionamento della Corte di Cassazione trae origine sia dall’art.5, L. n.604/66, secondo cui “l’onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro”, sia dal principio di vicinanza alla prova. In pratica, sotto questo secondo profilo, il datore di lavoro, in virtù della propria posizione aziendale, è più agevolato nel dimostrare le ragioni poste a base del licenziamento e la concreta impossibilità di ricollocare il lavoratore.
Tuttavia, tale principio espresso dalla Suprema Corte fa sorgere delle perplessità almeno su due fronti: per un verso, se è vero che ai sensi dell’art.5, L. n.604/66, il datore di lavoro deve dimostrare la sussistenza degli elementi costitutivi di un legittimo licenziamento per giustificato motivo, è anche vero che – in base alla medesima legge – le ragioni che giustificano il licenziamento sono esclusivamente “inerenti alla attività produttiva, alla organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa” (cfr. art.3, L. n.604/66). Pertanto, il Legislatore aveva onerato il datore di lavoro della prova positiva di tali ragioni e non anche dell’obbligo di repêchage, di cui la citata norma non parla affatto (l’onere del repêchage è stato introdotto in via giurisprudenziale). Per altro verso, la pronuncia della Suprema Corte finisce per porre in capo al datore di lavoro l’onere di fornire una prova negativa (l’inesistenza di una postazione lavorativa alternativa), che – a parere di chi scrive – non è meno gravoso rispetto a quello posto in precedenza in capo al lavoratore (che doveva fornire la prova positiva di un fatto: il posto di lavoro vacante in cui poter essere adibito).
Infine, come noto, di recente è stata modificata la disciplina delle mansioni (art.3, D.Lgs. n.81/15), in virtù della quale il datore di lavoro, in presenza di determinate condizioni, può adibire il lavoratore anche a mansioni rientranti nel livello di inquadramento inferiore, purchè appartenenti alla stessa categoria legale.
La novella dell’art.2103 cod.civ. impatta inevitabilmente anche sull’obbligo di repêchage, estendendolo; infatti, stando anche alla recente pronuncia della Corte di Cassazione qui in commento, il datore di lavoro – in caso di licenziamento per ragioni oggettive – sarà dunque tenuto a dimostrare non solo di non poter ricollocare il lavoratore in mansioni dello stesso livello, ma anche in mansioni di un livello contrattuale inferiore.
In definitiva, il combinato disposto della recente modifica legislativa in materia di mansioni e il revirement della Corte di Cassazione sull’onere della prova in tema di repêchage – nei fatti – rafforzano la posizione processuale dei dipendenti licenziati per ragioni oggettive che intendono impugnare il provvedimento espulsivo.