30 Giugno 2016

E, nonostante tutto, il contratto di prossimità continua ad allontanarsi…

di Marco Frisoni

Ci risiamo nuovamente; il Ministero del Lavoro, con apposita nota 24 Maggio 2016, n. 10599,  affronta, ancora una volta, la tematica della contrattazione di prossimità e, terminata la lettura del documento di prassi in parola, l’impressione, almeno a prima vista, che se ne ricava si orienta nel senso che, nei riguardi di tale veicolo contrattuale, residua ben poca benevolenza.

Tutto sommato, niente di strano, posto che il Dicastero sembra continuare in un percorso, quasi ineluttabile, di destrutturazione della negoziazione di prossimità, per giungere, prima o poi, ad un risultato che, oramai, appare chiaro anche agli ultimi ingenui sostenitori di questa conformazione contrattuale, vale a dire privarla di effetti pratici e operativi e, dunque, renderla, di fatto, non appetibile.

 

D’altro canto, allo stato attuale, la contrattazione di prossimità, introdotta dal D.L. n.138/2011, convertito con (molteplici) modificazioni dalla L. n.148/2011, appartiene ancora ad un pacchetto di misure che il Governo allora in carica si vide costretto ad approntare per potere ottenere dall’Unione Europea gli ingenti aiuti economici necessari a fronteggiare uno stato di crisi che, soprattutto a livello di liquidità, rischiava di mettere letteralmente in ginocchio il Paese.

Di talché, anche solo per mantenere formalmente gli impegni a suo tempo assunti, sarebbe difficoltoso giustificare, in un’ottica comunitaria, la soppressione di un (controverso) meccanismo che, nelle lodevoli intenzioni iniziali, avrebbe dovuto garantire saldezza ed esigibilità delle regole nell’alveo del nostro sistema di relazioni industriali.   

 

Ecco quindi spiegato il tentativo di depotenziare il contratto di prossimità (che, peraltro, ha sino ad ora retto il vaglio della Corte Costituzionale) operando su tre versanti: a) l’ostracismo delle parti sindacali che, in una speculativa logica di conservazione delle proprie posizioni di privilegio, non hanno affatto gradito l’abbassamento, nella contrattazione di prossimità, dell’ambito di misurazione del grado di rappresentatività (dal contesto nazionale a quello territoriale e/o aziendale); b) i sopravvenuti interventi del legislatore su tematiche che erano appannaggio della contrattazione di prossimità, soprattutto per fini di deroga, e che, nei fatti, hanno drasticamente ridotto il campo di applicazione della stessa; c) la prassi ministeriale (non ultimo, l’interpello n. 8/2016) che, a propria volta, ha obiettivamente circoscritto l’operatività della Legge n. 148/2011.

La nota del 24 Maggio 2016, sollecitata da ANASFiM (associazione di categoria aderente al sistema di Confesercenti) al fine di chiarire i rapporti tra contratti collettivi nazionali sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e contratti di secondo livello, anche in relazione ad alcuna problematiche riscontrate nel settore del marketing operativo, ribadendo, anche in virtù dell’art. 1, comma 1175, della Legge n. 296/2006, la imprescindibile rilevanza dell’applicazione della contrattazione collettiva munita di adeguati galloni di rappresentatività (ma, indirettamente, rimarcando ancora una volta la fisiologica fragilità della contrattazione collettiva di diritto comune), non perde occasione di tracciare ulteriori (e ridondanti) confini per il contratto di prossimità.

In particolare, il Ministero rammenta come, ai fini dell’art. 8 della Legge n. 148/2011, si stabilisce che i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività.

Sul punto, il Dicastero ritiene necessario evidenziare che la sottoscrizione di tali contratti è rimessa esclusivamente alle associazioni oppure alle loro rappresentanze sindacali dotate del grado di maggior rappresentatività in termine comparativi e, dall’altro che gli stessi devono trovare giustificazione nelle finalità espressamente indicate dalla norma di legge. Di riflesso, in mancanza, gli accordi raggiunti non potranno evidentemente operare in deroga alle disposizioni di legge e dei contratti collettivi nazionali di lavoro, con susseguente disconoscimento sul piano ispettivo; sul piano dell’efficacia soggettiva, le intese in analisi trovano applicazione in relazione ad una platea di destinatari ben determinata e non su ogni unità produttiva facente capo al medesimo datore di lavoro.

In buona sostanza, a ben vedere, siamo in presenza di un altro colpo sapientemente assestato al contratto di prossimità, che, suo malgrado ed in abbagliante antitesi con le finalità dichiarate dalla norma in cui è scolpita, appare allontanarsi sempre di più dalle reali esigenze derivanti dalla situazione del luogo di lavoro di riferimento.