20 Luglio 2021

Limite di durata del contratto a termine: nuove indicazioni INL

di Roberto Lucarini

L’INL torna ad interessarsi del contratto a tempo determinato a mezzo della nota n. 804/2021.

Non c’è da stupirsi, visto che il tipo contrattuale risulta essere il bersaglio preferito di ogni nuovo Governo; le modifiche normative, che si sono susseguite senza soluzione di continuità, lo rendono infatti assai insidioso.

Il riferimento normativo, dal 2015, si pone nel testo del D.Lgs. 81/2015 (Codice dei Contratti).

Il tema in esame riguarda la durata massima del tipo contrattuale, posta in 12 mesi acausali (salvo ipotesi di rinnovo dove le nuove causali scattano immediatamente), più altri 12 mesi soggetti ad apposizione di causali previste ex articolo 19, comma 1; ne deriva un totale di 24 mesi di durata massima per contratto, o per sommatoria di contratti, tra le medesime parti e per lo svolgimento di una mansione di pari livello e categoria legale (articolo 19, comma 2).

L’INL, nella nota in commento, si occupa proprio della durata massima del tipo contrattuale, riferendosi, tuttavia, alla procedura prevista ex articolo 19, comma 3, della normativa citata, che consente la possibilità di un ulteriore periodo derogatorio di 12 mesi, oltre i primi 24. Tale norma prevede che “fermo quanto disposto al comma 2, un ulteriore contratto a tempo determinato fra gli stessi soggetti, della durata massima di dodici mesi, può essere stipulato presso la direzione territoriale del lavoro competente per territorio. In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, lo stesso si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data della stipulazione”.

Una sorta di deroga che, quale presidio, prevede appunto una stipula in sede assistita; ciò al fine di porre al vaglio dell’ITL la concreta necessità di tale sforamento.

L’analisi fatta dei tecnici INL è chiara e puntuale, andando a evidenziare il requisito chiave riguardo la durata massima del tipo contrattuale; il rapporto, infatti, deve mantenersi per la stessa mansione di pari livello e categoria legale. In caso di mutamento di livello, per diversa mansione, ovvero del più drastico cambiamento di categoria legale (dirigenti, quadri, impiegati e operai, ex articolo 2095, cod. civ.), la durata viene di fatto azzerata.

La nota specifica quindi che, in linea generale sul tema della durata, “ove il lavoratore sottoscriva più contratti a termine con lo stesso datore di lavoro caratterizzati da diversi inquadramenti (di livello e di categoria legale) ai fini del calcolo della durata massima stabilita dall’art. 19, comma 2, non si determinerà una sommatoria della durata dei singoli contratti, ma soltanto di quelli, se esistenti, legati dal medesimo inquadramento”.

Ciò vale, quindi, anche per l’obbligo di procedura assistita ex articolo 19, comma 3, che viene meno nel caso di mutamento di livello ovvero di categoria.

Attenzione, tuttavia, all’indicazione finale posta nella nota in commento. Viene, infatti, segnalato che laddove “la successione di contratti susciti perplessità e sorgano dubbi in merito alla diversità di inquadramento del lavoratore assunto a termine, l’Ispettorato territoriale possa promuovere l’intervento ispettivo al fine di verificare in concreto se la sottoscrizione di successivi e reiterati contratti a termine tra il medesimo lavoratore e il medesimo datore di lavoro sia conforme a quanto previsto dalla legge”.

Ciò fa capire come per tale peculiare situazione siano ipotizzabili forme elusive della norma. Non stupisce, infatti, che qualcuno pensi di aggirare il limite di durata mutando, sia pur solo formalmente, la mansione e il livello. Tale atteggiamento, alla luce dell’indicazione fornita, appare assai rischioso. Gli ispettori sono, infatti, chiamati a valutare bene tutte le ipotesi di sforamento del limite di durata, specie per i casi di sommatoria di contratti.

 

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