Il merito che non ci meritiamo
di Riccardo GirottoUn tema assorbito parzialmente dall’organizzazione del lavoro e parzialmente dalle politiche retributive è, senza dubbio, quello del merito, al quale in questi ultimi anni si è aggiunta l’ulteriore questione del genere, di fatto inscindibilmente collegata.
Il problema di riuscire a premiare il merito viene massimizzato nel pubblico impiego, eppure l’impiego privato non può considerarsi esente da tale criticità. Assunto che l’obiettivo di premiare i più bravi convince tutti, il buon proposito si scontra con la realtà del diritto del lavoro vivente, che impone la regolamentazione dei passaggi pratici tramite limiti precisi alla libera azione imprenditoriale, quasi a sfiduciare la capacità del datore di lavoro nell’individuare il talento meritevole.
I percorsi premiali tutelati tendono, infatti, all’osservazione del lavoratore quale membro di una collettività, ove i diritti di tutti devono essere garantiti al cospetto del datore di lavoro, ma i diritti del singolo meritevole nei confronti dei colleghi, di sicuro, non incontrano pari assistenza tra i principi giuslavoristici.
Si pensi a tutti gli interventi di matrice sindacale: nel trasferimento d’azienda il dogma massimo è il passaggio di tutti i lavoratori, non solo i più produttivi; nel licenziamento collettivo la scelta dei soggetti interessati all’esodo segue regole ben precise, ardue da superare nel corso del confronto, che non garantiscono certo la permanenza in forza dei migliori.
I premi di risultato possono rappresentare un aspetto utile ad agire sul merito, ma necessariamente, per fruire della detassazione, favor peraltro circoscritto ai lavoratori, l’impatto dovrà essere generalizzato, con difficile emersione dei soggetti che trainano il gruppo destinatario della provvista premiale.
Non si discosta il welfare, ove la generalità come valore resta il viatico per garantire un bonus escluso dalla contesa netto Vs costo.
Potrà, quindi, il datore di lavoro operare tramite la leva retributiva pura?
Sicuramente potrà farlo individualmente, garantendo compensi ben più apprezzabili rispetto quanto disposto dall’articolo 36, Costituzione, valutando con attenzione il dissuasore del costo in aumento. Se penalizzare i meno meritevoli pare un percorso a ostacoli in un campo minato, si consideri la vigilanza esercitata dalla procedura disciplinare e dall’articolo 2013, cod. civ.; premiare i singoli resta, quindi, prerogativa esclusiva dei player davvero capienti.
Tutto quanto fin qui esposto non mira a criticare le misure descritte e protagoniste di un sofferto diritto positivo, piuttosto vuole spostare l’attenzione su un soggetto che spesso, troppo spesso, viene criticato per la sua distanza dal concetto del merito: l’imprenditore.
Non pare davvero credibile la logica secondo la quale un imprenditore privato esclude dai percorsi di carriera persone che ritiene meritevoli, danneggiando di fatto la propria azienda. Il punto è che le tutele collettive si pongono su un piano necessario e ampiamente condivisibile, ma non possono certo incidere in modo efficace sulle valorizzazioni del puro merito. Un imprenditore che vuole premiare un dipendente si troverà sempre a dover scalare la parete del costo, optando spesso, purtroppo troppo spesso, per la rinuncia al proposito.
Dal mio punto di vista, una proposta di alleggerimento fisco-previdenziale della retribuzione premiale, anche individuale, unitamente alla conferma delle misure esistenti, che, ribadisco, sostengono diverso scopo, risulterebbe il vero viatico per la spinta al merito.
Alleggerire il cuneo su cifre che altrimenti non verrebbero erogate non crea alcun danno alla collettività, agevola, anzi, la liberazione di risorse utili ad aumentare il potere d’acquisto, senza ledere le misure che già esistono e vanno confermate. Un aiuto concreto al merito come prova di fiducia al fiuto dell’imprenditore, un aiuto concreto al merito che, a quanto pare, al momento non ci meritiamo proprio.
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14 Maggio 2021 a 10:15
Forse ricordo male ma una proposta in tale senso “di alleggerimento fisco-previdenziale della retribuzione premiale, anche individuale,” era stato avanzata alcuni lustri addietro ovviamente senza alcun risultato.
Pur condividendo appieno penso che anche ora potrebbe avere lo stesso esito.
Ma mi domando anche perché tanta reticenza e riluttanza alla “premiazione” individuale unilaterale “sgravata” e, personalmente, una risposta me la sono data.
Poniamo che “venga accolta” questa proposta vuoi vedere che magari il ruolo delle o.o.s.s ( vedi contrattazione aziendale 2° livello, di prossimità ecc..) ne risulta come dire “sminuito” in particolare verrebbe meno il loro mantra? tutti uguali tutti premiati o nessuno in azienda queste “cose” si contrattano solo con ooss.
L’imprenditore è brutto e cattivo perché decide unilateralmente e insindacabilmente ( avverbio usato non a caso) chi e quanto discriminando così i MENO meritevoli.
Quindi la domanda è: chi è reticente? chi non vuole? ecc.. ec…
Mia nonna diceva che a pensar male si fa peccato ma ecc… ecc….
Forse questo commento non verrà pubblicato perché ritenuto non politically correct ma questo è il mio pensiero.
17 Maggio 2021 a 10:13
grazie per l’intervento collega a presto
18 Maggio 2021 a 10:28
A mio modo di vedere è opportuno anche ricordare che tutte le misure premiali e le agevolazioni contributive previste dall’Inps, presuppongono la virtuosità dell’imprenditore: cioè l’imprenditore deve pagare tutti i contributi Inps dovuti pena la revoca di qualsivoglia agevolazione da parte dell’Inps.
L’imprenditore si trova quindi di fronte ad un bivio secondo me per ciò che riguarda l’assunzione di un giovane:
-iniziare a valutarlo come stagista, reddito non soggetto a contributi o rimborso spese soggetto solo a tasse;
-assumerlo con contratto di apprendistato per poi trasformarlo in qualificato ma qui ci troviamo di fronte allo scoglio del costo del lavoro (10% per tre anni poi 40%e oltre, considerando l’incidenza dei contributi Inps ed Inail);
-assumerlo subito da qualificato ma qui il costo del lavoro è gravoso fin da subito;
Questa è la nuda e cruda realtà che forse le aule dei Tribunali non conoscono o fanno finta di ignorare.