Repêchage: l’onere della prova grava unicamente sul datore di lavoro
di RedazioneLa Cassazione Civile, Sezione Lavoro, con sentenza 4 marzo 2021, n. 6084, ha ritenuto che in materia di repêchage non sussiste alcun onere di collaborazione da parte del lavoratore, questo gravando esclusivamente sul datore di lavoro, posto che l’articolo 3, L. 604/1966, richiede:
a) la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente, senza che sia necessaria la soppressione di tutte le mansioni in precedenza attribuite allo stesso;
b) la riferibilità della soppressione a progetti o scelte datoriali – insindacabili dal giudice quanto ai profili di congruità e opportunità, purché effettivi e non simulati – diretti a incidere sulla struttura e sull’organizzazione dell’impresa, ovvero sui suoi processi produttivi, compresi quelli finalizzati a una migliore efficienza ovvero a incremento di redditività;
c) l’impossibilità di reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, elemento che, inespresso a livello normativo, trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore.
L’onere probatorio in ordine alla sussistenza di questi presupposti è a carico del datore di lavoro, che può assolverlo anche mediante ricorso a presunzioni, restando escluso che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili.
Nel caso di specie la Suprema Corte ha cassato la sentenza del giudice d’appello, che aveva ritenuto che solo nel caso in cui il lavoratore abbia indicato l’esistenza di posti in cui essere utilmente ricollocato sussiste, a carico del datore di lavoro, l’onere di provare l’impossibilità di adibire il dipendente ad altre mansioni.
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