17 Febbraio 2021

La figura del lavoratore notturno in seguito alla nota INL n. 1050/2020

di Marco Tuscano

In data 26 novembre 2020, l’INL, con nota n. 1050/2020, su parere dell’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (nota n. 12165/2020), si è espresso al fine di chiarire la definizione di lavoratore notturno, tenuto conto dei quesiti ricevuti anche in merito al ruolo della contrattazione collettiva.

 

Premesse

Il D.Lgs. 66/2003 individua i profili principali relativi all’organizzazione dell’orario di lavoro, tra cui la definizione di periodo notturno e lavoratore notturno, oggetto della nota INL n. 1050/2020 in analisi.

In particolare, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera d), D.Lgs. 66/2003, il periodo notturno è definito come quel periodo di lavoro “di almeno sette ore consecutive comprendenti l’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino”.

Questa definizione, ai fini della configurazione del lavoratore notturno, è fondamentale.

Infatti, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera e), il lavoratore notturno è “qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale” o, in alternativa, “qualsiasi lavoratore che svolga durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro”.

In aggiunta, la norma prevede che “in difetto di disciplina collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all’anno”.

Queste disposizioni si accompagnano a quanto previsto in seguito dal D.L. 112/2008, convertito in L. 133/2008, che è intervenuto integrando la definizione in analisi (e abrogando alcuni articoli del D.Lgs. 66/2003).

In definitiva, nel tentativo di schematizzare e riassumere quanto previsto in toto dalla normativa, si può affermare che, affinché si configuri la figura del lavoratore notturno, debbano essere presenti, in alternativa tra loro, 3 punti sostanziali, i quali rappresentano singolarmente una condizione necessaria e sufficiente per l’ascrizione al genus, ovvero:

  1. una prestazione di lavoro che si svolga normalmente con almeno 3 ore prestate nel periodo notturno;
  2. una prestazione che si svolga nel periodo notturno secondo le modalità indicate dal contratto collettivo adottato in azienda;
  3. una prestazione che si svolga senza che il lavoratore ne sia adibito in modo normale e, in mancanza di apposita previsione collettiva, per almeno 3 ore nel periodo notturno per almeno 80 giorni nell’anno, da riproporzionare in caso di part-time.

Con riferimento agli 80 giorni di cui sopra, vi è da chiarire che, con sentenza n. 37903/2012, la Corte di Cassazione si è espressa affermando che l’anno da prendere a riferimento deve decorrere dall’inizio del rapporto di lavoro, non potendo essere preso a riferimento un periodo arbitrario o convenzionale. Il riferimento all’anno deve, quindi, “calcolarsi dall’inizio del rapporto di lavoro, in modo tale che per ogni effettivo anno di rapporto di lavoro (…), il lavoratore abbia la garanzia di non dover prestare più di 80 giorni di lavoro notturno”.

Una volta delineati i requisiti sostanziali individuati dalla Legge, è bene sottolineare come sia fondamentale pervenire a una definizione univoca, chiara e definitiva del lavoratore notturno.

Sono molteplici, infatti, i diritti che nascono nei confronti del lavoratore notturno. Ad esempio, tra i molti aspetti da considerare, si ricorda che lo stesso ha diritto, ai sensi dell’articolo 13, comma 1, D.Lgs. 66/2003, a un orario giornaliero che non ecceda il limite di 8 ore calcolate su una media di 24 ore.

Inoltre, la presenza di lavoratori notturni può comportare per il datore di lavoro una serie di obblighi e adempimenti, tra cui, ad esempio, l’obbligo di predisporre un DVR che tenga conto di questa modalità di lavoro, oppure l’obbligo di preventiva (rispetto all’introduzione del lavoro notturno) consultazione delle rappresentanze sindacali aziendali aderenti alle organizzazioni firmatarie del contratto collettivo applicato (o, in mancanza, delle organizzazioni territoriali) ai sensi dell’articolo 12, D.Lgs. 66/2003.

Per tali motivi, una nota esplicativa che possa escludere qualsiasi dubbio residuo in merito alle disposizioni di Legge, e che, quindi, permetta una sicura configurazione del lavoratore notturno, non può che essere ben accolta.

Nel prosieguo, quindi, si analizzerà quanto chiarito dalla nota INL n. 1050/2020, tenendo in considerazione che esistono previgenti interventi in materia, ovvero la circolare n. 8/2005 del Ministero del lavoro e la nota n. 388/2005 del Ministero del lavoro.

Per dovere di precisione si specifica che, per determinati ambiti, non deve essere presa a riferimento unicamente la definizione di lavoratore notturno dettata dal D.Lgs. 66/2003: si pensi, ad esempio, all’ambito del trattamento pensionistico anticipato per lavoro notturno, in cui si dovrà tenere in considerazione anche quanto statuito dal D.Lgs. 67/2011.

Da ultimo, per dovere di accuratezza, si sottolinea come le definizioni di lavoro notturno e lavoratore notturno, pur chiaramente ed evidentemente connesse, siano figlie di concetti profondamente diversi: il lavoro notturno è una caratteristica della prestazione lavorativa che porta con sé proprie specificità e previsioni, il lavoratore notturno è, invece, una caratteristica del lavoratore con relative specifiche conseguenze. Non sempre, quindi, le previsioni legali, o contrattuali, relative alla prestazione di lavoro effettuata di notte interessano in contemporanea sia la prima che la seconda casistica.

 

L’intervento della nota INL n. 1050/2020

L’INL, come detto, è intervenuto tramite la nota n. 1050/2020 (acquisito il parere dell’Ufficio legislativo del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, che si è espresso con nota n. 12165/2020) per chiarire quanto statuito all’articolo 1, comma 2, D.Lgs. 66/2003.

In particolare, la nota inizialmente fornisce un riepilogo della normativa, e spiega esplicitamente, fugando ogni dubbio, come debbano essere intese le 7 ore consecutive di lavoro per l’individuazione del periodo notturno:

Per essere in presenza di periodo notturno il periodo di riferimento preso in considerazione potrà iniziare alle 22.00 e concludersi alle 5.00, o iniziare alle 23.00 e concludersi alle 6.00 o a mezzanotte e concludersi alle 7.00.

L’individuazione del periodo notturno è un punto centrale della questione, e non è un caso che nota e norma lo pongano in antecedenza rispetto alla declinazione della figura del lavoratore notturno. Esso rappresenta il punto di inizio oggettivo, immodificabile dalla contrattazione (salvo future diverse interpretazioni), necessario per giungere alla ben più variabile definizione di lavoratore notturno.

Nel prosieguo, la nota spiega come debbano essere interpretati i 3 punti sostanziali già individuati nell’analisi della norma, e che, come chiarito, sono alternativi tra loro, che configurano la figura del lavoratore notturno.

 

1. Lavoratore che lavora normalmente in orario notturno

Il primo punto, come detto, è quello relativo a chi regolarmente svolge una prestazione di lavoro nel periodo notturno. La nota chiarisce che rientra in questa casistica il lavoratore che ha un rapporto stabile, ovvero regolamentato tramite apposito contratto, che si svolge per almeno 3 ore nel periodo notturno, come esplicitato, ovvero nel periodo che può iniziare alle 22.00 e concludersi alle 5.00, alle 23.00 e concludersi alle 6.00 o a mezzanotte e concludersi alle 7.00.

Preme sottolineare che, né da parte della normativa di riferimento né da parte della nota in analisi, per questo frangente, è fatto riferimento alle giornate di lavoro effettuate nell’anno. Ciò porta a ritenere come sia sufficiente un semplice prestazione di lavoro che si svolga “contrattualmente e quindi stabilmente” (come affermato dalla nota) nelle modalità suindicate e non, quindi, in via eccezionale.

A ben vedere, i dettami della nota per questa casistica forse prestano il fianco a ulteriori dubbi e conseguenti (residui) strascichi interpretativi: si pensi a un part-time verticale che si svolge normalmente e stabilmente (come indicato da nota e norma) nel periodo notturno per un numero di giornate annue inferiore a 80.

Invero, con la parola “stabilmente” si ritiene, ma non si ha certezza, che la nota faccia riferimento a un orario normale di lavoro di 40 ore, sulla base di quanto previsto dalla norma che si riferisce a “lavoro giornaliero impiegato in modo normale”, che, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, D.Lgs. 66/2003, è di 40 ore. Peraltro, dalla stessa norma (articolo 1, comma 2, lettera e), D. Lgs 66/2003) non viene espressamente indicata la possibilità di una riparametrazione per il lavoratore che ha un contratto part-time, al contrario di quanto esplicitato nei punti che seguono, casistiche in cui si deve far rientrare il lavoratore a tempo parziale.

Sulla questione, inoltre, muovendosi per analogia, risulta utile analizzare quanto previsto dalla nota n. 13330/2014 del Ministero del lavoro, in tema di lavoro intermittente: “si ritiene che analogo limite minimo – gli 80 giorni lavorativi per la configurazione del lavoratore notturno – possa costituire una valida garanzia anche per i lavoratori intermittenti, rispetto a quali non è peraltro quantificabile preventivamente il complessivo impegno lavorativo. Ne consegue che gli obblighi di cui all’art. 14, D. Lgs 66/2003 nei confronti dei lavoratori intermittenti debbano essere assolti nelle ipotesi in cui i lavoratori interessati siano impiegati per un minimo di 80 giorni l’anno”.

Stante quanto approfondito, sulla base delle certezze acquisite, si ritiene utile fornire degli esempi che possano agevolare la comprensione di quanto affermato dalla nota.

ESEMPI

  • È lavoratore notturno quel barista che, per contratto individuale di lavoro, deve rendere la prestazione stabilmente dal lunedì al venerdì nell’orario 17.00-01.00 (sono presenti 3 ore nel periodo notturno).
  • Non è lavoratore notturno quel barista che, per contratto individuale, deve rendere la prestazione stabilmente dal lunedì al venerdì nell’orario 05.00-13.00 (sono presenti solo 2 ore prestate nel periodo notturno).

 

2. Lavoratore che secondo la regolamentazione della disciplina collettiva è un lavoratore notturno

Il secondo punto riguarda quegli ambiti in cui la contrattazione collettiva interviene per disciplinare la figura del lavoratore notturno. In particolare, la nota sottolinea che il contratto collettivo può prevedere apposite previsioni in merito alle ore e ai giorni necessari affinché si configuri la sua figura. I punti salienti indicati dalla nota, che consegnano ulteriori perimetri di certezza alla normativa, sono i seguenti:

  • il Ccnl di riferimento può prevedere modifiche rispetto ai parametri numerici, relativamente al numero di ore, individuati dal D.Lgs. 66/2003 e, nel caso non lo faccia, si deve prendere obbligatoriamente in considerazione il criterio legale statuito all’articolo 1, comma 2, ovvero le 3 ore nel periodo notturno. La nota stabilisce, inoltre, che la modifica da parte della contrattazione collettiva del numero di ore può essere sia in aumento, che in diminuzione;
  • il Ccnl di riferimento può prevedere modifiche rispetto ai parametri numerici, con riferimento al numero di giorni, individuati dal D.Lgs. 66/2003, e, nel caso non lo faccia, si deve prendere obbligatoriamente in considerazione il criterio legale statuito all’articolo 1, comma 2, ovvero gli 80 giorni prestati nell’anno. Si ritiene, però, che, data la mancata esplicita specifica sulla possibilità che la contrattazione collettiva possa prevedere una modifica, sia in aumento che in diminuzione, delle giornate di lavoro (esplicitazione che avviene, invece, per il numero di ore), in ragione di una derogabilità solo in melius (per il lavoratore) da parte del Ccnl, sia genuina solo quella previsione collettiva che diminuisce il numero di giornate;
  • qualora la contrattazione collettiva riproponga unicamente il testo della norma, ai fini della configurazione del lavoratore notturno dovranno prendersi in considerazione i criteri legali, ossia le 3 ore e gli 80 giorni, così come analizzato.

Come è facile notare, in questo frangente la nota non fa alcun riferimento a quanto regolamentato formalmente tra le parti tramite contratto di lavoro, si ritiene, quindi, che si debba continuare a interpretare la norma nelle modalità previgenti, ovvero considerando de facto come si svolge la prestazione di lavoro, al di là di quanto contrattualmente pattuito (sul punto si veda la circolare n. 8/2005 del Ministero del lavoro, che chiarisce come si debbano considerare anche le “esigenze contingenti”).

Anche in questo caso, appare utile fornire alcune esemplificazioni.

ESEMPI

Un contratto collettivo immaginario dei trasportatori stabilisce che è lavoratore notturno colui il quale presta 2 ore di lavoro giornaliero nel periodo notturno, pertanto:

  • è lavoratore notturno quel trasportatore che lavora dalle 16.00 alle 24.00 per 100 giorni in un anno (è rispettato il criterio del Ccnl per quanto riguarda il numero di ore e il criterio legale per quanto riguarda il numero di giorni);
  • non è lavoratore notturno quel trasportatore che lavora dalle 22.00 alle 6.00 per 70 giorni in un anno (è rispettato il criterio del Ccnl per quanto riguarda il numero di ore, ma non quello legale per quanto riguarda il numero di giorni).

 

3. Lavoratore che è considerato lavoratore notturno sulla base dei principi legali

Il terzo punto riguarda quel lavoratore che non ha un’apposita previsione contrattuale individuale che colloca il suo orario di lavoro normale nel periodo notturno, e che svolge, quindi, de facto, prestazioni di lavoro notturno nell’ambito di un contratto collettivo che non ne disciplina la fattispecie.

In questo caso, che si può dire residuale rispetto ai 2 precedenti, la nota afferma che per la configurazione del lavoratore notturno si dovranno usare i criteri legali, ovvero la presenza di 3 ore di lavoro nel periodo notturno per almeno 80 giorni all’anno.

ESEMPI

  • È lavoratore notturno colui il quale svolge prestazioni lavorative dalle ore 20.00 alle ore 3.00 per 81 giorni l’anno (rispettati entrambi i criteri legali: le 3 ore nel periodo notturno e le 80 giornate all’anno).
  • Non è lavoratore notturno quel lavoratore che svolge la propria prestazione dalle 5.00 alle ore 13.00 per 78 giorni l’anno (non sono rispettati i criteri legali: sono svolte unicamente 2 ore nel periodo notturno per un numero di giorni non sufficienti l’anno).

 

Il ruolo della contrattazione collettiva

Il Legislatore, come visto, assegna un ruolo importante alla contrattazione collettiva, e consente che la stessa possa essere determinante e sufficiente per la definizione del lavoratore notturno.

A ben vedere, infatti, le previsioni legali e quelle collettive si coadiuvano tra loro per massimizzare la tutela nei confronti del lavoratore che lavora di notte, in uno stretto rapporto di interazione: ove non arriva la Legge, può subentrare il Ccnl e, ove non arriva il Ccnl, viene in soccorso il solido parametro legale.

Questa scelta del Legislatore, è evidente, consente una maggiore garanzia di tutela nei confronti dei lavoratori, poiché tramite contrattazione collettiva possono essere meglio valutate le peculiarità dei vari settori, territori o delle singole imprese, così da realizzare, pienamente, la tutela della salute e sicurezza del lavoratore “in relazione all’attività da questo effettivamente svolta”.

L’importanza assegnata alla contrattazione collettiva è, peraltro, riscontrabile anche in un importante passaggio della circolare n. 8/2005 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che indica come, in presenza di contratto collettivo applicato in azienda, che disciplini in modo specifico l’esecuzione di lavoro notturno continuativo (che ovviamente si realizza in presenza di lavoratore notturno), venga meno l’obbligo legale, ex articolo 12, D.Lgs. 66/2003, di preventiva comunicazione all’ITL competente o alle OO.SS. titolari del diritto ad essere consultate al fine dell’introduzione del lavoro notturno.

Riflettere sull’importanza assegnata dalla norma alla contrattazione collettiva è un tema centrale, d’altro canto, perché consente di capire che i criteri di individuazione della figura del lavoratore notturno possono essere inseriti anche in fase di contrattazione di secondo livello, potendo rappresentare quindi, a tutti gli effetti, un’eventuale proficua leva contrattuale.

Resta inteso che, per una corretta attuazione della finalità della norma (in buona sostanza, l’identificazione del lavoratore notturno per una conseguente tutela della sua integrità psicofisica), la dicitura “contratti collettivi di lavoro”, debba essere intesa nel senso di “contratti collettivi stipulati da organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative”, non potendo essere presa in considerazione la contrattazione minoritaria e, a fortiori, quella pirata.

 

Conclusioni

Il perimetro generale della figura del lavoratore notturno sembra tracciato: la nota 1050/2020 è intervenuta rimuovendo gran parte delle incertezze che ancora aleggiavano attorno alla norma.

A ben vedere, però, sono auspicabili ulteriori interventi interpretativi da parte degli enti predisposti, che ci consegnino le ultime certezze mancanti.

Nel corso di questo contributo si è visto, infatti, come siano presenti delle residue zone d’ombra, che necessitano di conferma (o smentita) o di maggiori dettagli, ovvero:

  • l’impossibilità, da parte della contrattazione collettiva, di modificare il periodo notturno individuato dalla Legge;
  • la non incidenza del numero di giornate lavorate nel periodo notturno per chi ha un contratto individuale che prevede una prestazione di lavoro che avviene stabilmente e normalmente nel periodo notturno per un numero di giornate annue inferiore a 80 (ad esempio, un part-time verticale), e, di conseguenza, la spiegazione della parola “stabilmente” indicata nella nota.

Vi è da dire che, sulla base del favor prestatoris, che contraddistingue, in buona sostanza, tutto il diritto del lavoro, sarà compito del datore di lavoro, in presenza di punti incerti, orientarsi verso scelte che assicurino una maggior tutela nei confronti del prestatore di lavoro.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza“.

 

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