28 Gennaio 2021

Erronea gestione del massimale Ivs: problemi per i datori di lavoro

di Cristian Valsiglio

L’Inps, verso metà dicembre 2020, ha inviato numerose comunicazioni alle aziende, volte a bloccare i termini prescrizionali per il recupero di somme contributive, con annesse sanzioni, relative a erronee gestioni del massimale Ivs ex L. 335/1995. Successivamente l’Istituto, con messaggio n. 5062/2020, ha illustrato gli obiettivi e le tipologie di verifiche effettuate, evidenziando particolari punti di attenzione in capo ai datori di lavoro.

Il massimale contributivo, previsto dall’articolo 2, comma 18, L. 335/1995, costituisce il limite di valore annualmente rivalutato oltre il quale la retribuzione non deve essere assoggettata a prelievo di contributi previdenziali e riguarda i lavoratori privi di anzianità contributiva riferibile a periodi anteriori al 1° gennaio 1996 ovvero coloro che abbiano optato per il regime contributivo.

Ai fini della non applicazione del massimale Ivs è necessaria la presenza di anzianità contributiva precedente al 1° gennaio 1995. Per anzianità contributiva si intende il complesso degli accrediti, pur se registrati in Gestioni diverse, relativi a rapporti di lavoro privati o pubblici, dipendenti o autonomi (con versamenti di contributi, in tal caso, presso le rispettive Casse di previdenza), in Italia o all’estero, in tale accezione sono inclusi:

  • i periodi di contribuzione figurativa;
  • i periodi di contribuzione facoltativa;
  • i riscatti;
  • i trasferimenti gratuiti e onerosi;
  • la contribuzione volontaria.

Al soggetto che non è in possesso di anzianità contributiva antecedente al 1996 deve essere applicato il massimale Ivs.

Queste verifiche Inps consentono al datore di lavoro di fare qualche riflessione, magari anche rivedendo i propri processi amministrativi.

In primo luogo, è necessario che il datore di lavoro, in fase di assunzione, richieda una dichiarazione al dipendente per identificare il corretto inquadramento previdenziale. In secondo luogo, è necessario richiedere al lavoratore l’impegno di comunicare eventuali modifiche del proprio status contributivo (ad esempio, riscatto di laurea o riscatto del servizio militare per un periodo ante 1996).

In relazione alle comunicazioni Inps, prima di pagare contributi e sanzioni, è, invece, opportuno verificare insieme al dipendente se vi sia qualche errore nell’impostazione dell’Istituto. In tal caso potrà essere fatto ricorso entro 90 giorni dal ricevimento della comunicazione.

Inoltre, a seguito dei maggiori contributi da versare con relative sanzioni, è opportuno chiedersi quale debba essere il comportamento del datore di lavoro nei confronti del lavoratore, alla luce del fatto che l’articolo 23, L. 218/1952, stabilisce perentoriamente che la quota a carico del lavoratore dei contributi deve essere trattenuta esclusivamente nel mese di scadenza del periodo di paga. Pertanto, una volta superato il periodo di competenza, come nel caso di specie, il datore di lavoro dovrà versare l’intera contribuzione, con relative sanzioni, senza poter trattenere al lavoratore la quota a suo carico.

Se questa è la regola generale, tuttavia, è opportuno distinguere il caso in cui il datore di lavoro, al momento dell’assunzione, non abbia richiesto al lavoratore una dichiarazione dello status contributivo con obbligo di comunicazione di eventuali modifiche, dal caso in cui il lavoratore abbia dichiarato il falso ovvero non abbia comunicato successivamente di aver riscattato periodi antecedenti al 1996. Sicuramente, in questo secondo caso, ferma restando la valutazione gestionale del rapporto con i predetti lavoratori, spesso ricoprenti cariche apicali, sarà nelle facoltà del datore di lavoro, in virtù dell’erronea dichiarazione, recuperare la predetta contribuzione (ed eventualmente anche le sanzioni) intimandone il pagamento direttamente al lavoratore o effettuando una trattenuta a cedolino paga, ove esplicitamente richiesto e autorizzato dallo stesso.

 

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