26 Gennaio 2021

La reperibilità del lavoratore: aspetti lavoristici

di Roberto Lucarini

Con la definizione di reperibilità, in campo aziendale e in riferimento a uno specifico soggetto, si intende la possibilità che il lavoratore, in caso di necessità, risulti reperibile al fine di poter svolgere la propria opera. Molteplici possono essere, infatti, le esigenze operative che richiedono un intervento imprevisto o comunque non certo; si tratta di attività che necessitano, solo in via potenziale, dell’intervento dell’operatore.

Tale istituto lavoristico, non definito da alcuna normativa ad hoc, viene talora regolamentato dai contratti collettivi di vario livello – nazionale, territoriale, aziendale; ad essi, quindi, ci si dovrà sempre riferire al fine di valutare le disposizioni operative e retributive cui sottostare. Si fa presente che, in assenza di regole collettive, può essere stipulato anche un accordo individuale col lavoratore, avendo l’accortezza di indicarvi, con puntualità, gli aspetti operativi più rilevanti e un congruo compenso legato al servizio.

Sul piano lavoristico si sono evidenziati, nel tempo, alcuni aspetti pratici di seguito in breve commentati.

Ci si è anzitutto posti la domanda se il tempo di reperibilità debba essere considerato come tempo di lavoro. Si ricorda che, a mente del disposto normativo, l’orario di lavoro è “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”; il punto in discussione, quindi, si lega strettamente all’eventuale ed effettiva prestazione del lavoratore.

Su tale aspetto la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che “la reperibilità prevista dalla disciplina collettiva, si configura come una prestazione strumentale ed accessoria qualitativamente diversa dalla prestazione di lavoro, consistendo nell’obbligo del lavoratore di porsi in condizione di essere prontamente rintracciato, fuori del proprio orario di lavoro, in vista di un’eventuale prestazione lavorativa” (Cassazione n. 19936/2015). La mera reperibilità, dunque, ove non seguita da concreta prestazione di lavoro, non rientra ex se nel concetto di prestazione lavorativa. In giurisprudenza sono stati, così, elaborati i concetti reperibilità “attiva”, ovvero con prestazione di lavoro a seguito di chiamata del datore, o “passiva”, nel caso in cui non sia stata svolta alcuna attività da parte del lavoratore.

Altra delicata distinzione è stata operata tra reperibilità “interna” o “esterna”. Nel primo caso il lavoratore è chiamato a essere reperibile presso la sede di lavoro, andandosi in questo caso il servizio a trasformare in una vera e propria attività di lavoro (in tal senso, CGE causa C-151/02). Per reperibilità esterna deve, invece, intendersi il servizio operato senza alcun vincolo di luogo; in tale situazione la libertà del lavoratore non viene ad essere così compromessa da potersi ritenere quel tempo quale attività lavorativa.

Altro tema riguarda l’obbligatorietà, per il lavoratore, di prestare servizio di reperibilità. La soluzione può essere così sintetizzata: ove tale onere sia previsto dalla contrattazione, collettiva o individuale, emerge chiaramente l’obbligo contrattuale del lavoratore. In caso contrario, nessun obbligo può essere individuato.

Si è sviluppato, negli anni, anche il problema legato all’eventuale riposo compensativo spettante al dipendente reperibile; un aspetto che coinvolge, necessariamente, le indicazioni normative previste ex D.Lgs. 66/2003, soprattutto sul tema del riposo settimanale, ex articolo 9, e riposo giornaliero, ex articolo 7. Va precisato che tale problema si pone solo nel caso in cui vi sia stata mera reperibilità (passiva), senza chiamata al lavoro; ove, invece, vi sia stata anche prestazione lavorativa (reperibilità attiva) spetterà il riposo compensativo.

In caso di semplice reperibilit,à quindi, in relazione al tema del riposo, occorre riferirsi al disposto dalla contrattazione; solo ove vi sia una disposizione in merito scatterebbe la necessità del riposo compensativo. In caso di silenzio sul punto nessun riposo risulta spettante, essendo tale servizio non equiparabile alla prestazione di lavoro.

Vediamo, infine, alcune considerazioni relativamente al necessario ristoro dovuto in relazione al servizio di reperibilità. Pur trattandosi di prestazione accessoria e strumentale al lavoro, l’essere reperibile comporta senza dubbio un dovere per il lavoratore, una costrizione alla propria libertà, cosa, questa, che necessita di apposito compenso. L’indennità di reperibilità viene, infatti, normalmente prevista dalla contrattazione collettiva. In relazione alla natura di tale indennità, nessun dubbio: trattasi di normale retribuzione, come tale, quindi, da assoggettare a tassazione ordinaria e conseguente onere contributivo.

 

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