9 Dicembre 2020

Responsabilità contributiva degli appalti: il versamento dei contributi. Teoria e pratica

di Francesco Natalini

Affrontare il tema della responsabilità “contributiva” in materia di appalti, qualora la si voglia intendere in senso estensivo, significherebbe occuparsi di diversi ambiti in cui essa può essere presente – anche incidentalmente – nel panorama giuslavoristico.

Dovendo necessariamente fare una selezione dei vari contesti in cui tale fattispecie viene richiamata dall’ordinamento, si è ritenuto di incentrare il presente intervento sulle 2 principali accezioni in cui la stessa può essere declinata:

  1. la responsabilità che grava sul committente “apparente”/datore di lavoro “sostanziale” in presenza di un appalto non genuino;
  2. la responsabilità solidale tra appaltatore e committente.

 

La responsabilità del committente “apparente”/datore di lavoro “sostanziale”

È indubbio che, in presenza di un contratto di appalto illecito, per violazione del disposto ex articolo 29, comma 1, D.Lgs. 276/2003 (dissimulante, quindi, a tutti gli effetti, una vera e propria somministrazione vietata), si applicano, in capo al committente e allo (pseudo) appaltatore (e in misura paritetica) le sanzioni amministrative pecuniarie (ex penali) di cui all’articolo 18, comma 5-bis, D.Lgs. 276/2003, pari a 60 euro al giorno per ogni lavoratore impiegato nell’appalto e per ogni giorno di lavoro (con un minimo di 5.000 euro e un massimo di 50.000 euro). Se poi l’appalto, oltre ad essere illecito, fosse anche “fraudolento”, si aggiungerebbe la (riesumata) sanzione penale ex articolo 38-bis, D.Lgs 81/2015[1], per non parlare di altri possibili conseguenze, prevalentemente sul piano penale, se la violazione assumesse connotazioni di maggiore gravità (ad esempio, sfruttamento di minori). Da ultimo, aggiungiamoci anche le ricadute sul piano fiscale, che si concretano essenzialmente nell’indeducibilità da parte del committente, a livello di costo, degli importi pagati all’appaltatore.

Ma cosa succede, invece, sul piano contributivo, in presenza di un appalto non genuino?

La norma è sufficientemente chiara (pur se con qualche refuso) nell’ipotesi, contemplata all’articolo 29, comma 3-bis, D.Lgs. 276/2003, in cui si dispone che “Quando il contratto di appalto sia stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo. In tale ipotesi si applica il disposto dell’articolo 27, comma 2”.

Il refuso consiste nel fatto che il richiamo non è più all’articolo 27 (del D.Lgs. 276/2003, oggi abrogato), bensì all’articolo 38, D.Lgs. 81/2015 (che ne ha raccolto l’eredità), il quale prevede che: “Quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli 31, commi 1 e 2, 32 e 33, comma 1, lettere a), b), c) e d), il lavoratore può chiedere, anche soltanto nei confronti dell’utilizzatore, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione”.

Il successivo comma 3, poi, aggiunge che: “Nelle ipotesi di cui al comma 2 tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata. Tutti gli atti compiuti o ricevuti dal somministratore nella costituzione o nella gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti o ricevuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione”.

Quindi, confermando il regime precedentemente contemplato nel Decreto Biagi e diversamente da quello previgente di cui alla L. 1369/1960, che, in caso di appalto illecito prevedeva (articolo 1, comma 5), che il lavoratore fosse considerato automaticamente, a tutti gli effetti, dipendente del committente, il combinato disposto tra le 2 norme in precedenza richiamate fa venire meno questo automatismo, tranne il caso in cui si verta in ipotesi di somministrazione nulla, da intendersi priva di forma scritta, ai sensi dell’articolo 38, comma 1, D.Lgs. 81/2015, ovvero, si ritiene, anche nel caso di sussistenza della già citata somministrazione fraudolenta ex articolo 38-bis dello stesso Decreto.

Pertanto, laddove si verta in ipotesi di contratto di appalto, che, seppur non genuino (purché non fraudolento), fosse comunque stipulato per iscritto, si potrà parlare di appalto illecito (ovvero, per conversione, di somministrazione vietata), ma non di somministrazione nulla, di talché, per realizzarsi l’effetto traslativo con efficacia retroattiva è necessario che il lavoratore, alle formali dipendenze dell’appaltatore (o del subappaltatore, in caso di subappalto), abbia proposto una specifica azione giudiziale ex articolo 414, c.p.c., al fine di ottenere la costituzione del rapporto in capo al committente/datore di lavoro “sostanziale”. In questo caso il debito contributivo può essere imputato retroattivamente al committente/utilizzatore, ivi comprese le sanzioni civili, da calcolarsi peraltro con il criterio dell’omissione contributiva e non dell’evasione, di cui all’articolo 116, comma 8, lettera a), L. 388/2000.

In difetto di azione giudiziaria promossa dal lavoratore (ovviamente con esito a lui favorevole), fermo restando che non è, evidentemente, possibile invocare la ricostruzione (retroattiva) della posizione contrattuale in capo al committente, ci si è chiesti se si possa, invece, comunque configurare il trasferimento del debito contributivo (previdenziale/assicurativo) in capo al medesimo committente/datore di lavoro effettivo.

Va detto che la stessa domanda se l’erano poste molte DTL (oggi ITL), che, in assenza di precise indicazioni ministeriali, si erano mosse “a macchia di leopardo” con interpretazioni nell’uno e nell’altro senso, sicché la traslazione contributiva poteva essere o meno disposta a seconda delle prassi adottata dall’ufficio territoriale.

Chi scrive è sempre stato a favore della tesi “letterale”, restrittiva, applicabile, quindi, nei soli casi di istanza “vincente” da parte del lavoratore, (“ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”), tesi sostenuta anche da autorevole dottrina, la quale ha ritenuto che “nel caso in cui si dubiti della validità di un appalto, agli enti previdenziali non rimane “che muoversi “a ruota” di una causa vittoriosamente intentata dal lavoratore”, causa che, però, nella fattispecie, nessuno ha intentato, con la conseguenza che il Giudice, in mancanza di domanda da parte di chi unicamente può proporla, non può certo affermare, nemmeno incidenter tantum, la sussistenza del suddetto, ipotetico rapporto di lavoro subordinato[2].

Di diverso avviso si è dimostrato l’INL, che, dopo un silenzio durato 15 anni, nel 2018, con la circolare n. 10/2018, ha optato per la soluzione della traslazione della posizione contributiva in capo al committente, in virtù del principio secondo cui “l’unico rapporto di lavoro rilevante verso l’ente previdenziale è quello intercorrente con il datore di lavoro effettivo”, a prescindere dalla presenza o meno di una causa ex articolo 414, c.p.c., intentata e vinta dal lavoratore, ovviamente permettendo quantomeno lo scomputo dei contributi già pagati dallo (pseudo) appaltatore.

Quindi, oggi in caso di accertamento ispettivo da cui emerga la sussistenza di un contratto di appalto illecito, si ricalcola la contribuzione in capo al committente/datore di lavoro sulla base di una retribuzione che potrebbe essere diversa (di norma superiore) rispetto a quella determinata dall’appaltatore, atteso che, se il predetto committente (datore di lavoro “effettivo”) è inquadrato in un settore coperto da altro Ccnl (magari già applicato per i suoi dipendenti diretti), è su questo contratto che bisogna basarsi per determinare la retribuzione imponibile minima, ai sensi dell’articolo 1, D.L. 338/1989, convertito nella L. 389/1989, anche se non mancano verbali “sbrigativi”, dove vengono ribaltate tout court le retribuzioni dei lavoratori sulla base di quelle assegnate dal predetto appaltatore. Potrebbe cambiare anche l’aliquota contributiva (e assicurativa), sempre in ragione del diverso inquadramento previdenziale della committente rispetto al menzionato appaltatore.

 

ESEMPIO

Appalto tra una struttura per anziani (Rsa) e una cooperativa sociale di tipo A per l’affidamento di servizi di assistenza e badanza affidati a Oss rivelatosi illecito per etero-direzione della committenza nei confronti dei lavoratori impiegati nell’appalto (illecito accertato con verbale ispettivo).

Committente: inquadramento commercio > 50 dipendenti – Ccnl di riferimento: Commercio/Terziario.

Appaltatore: cooperativa sociale di tipo A – Ccnl di riferimento: Cooperative sociali.

Retribuzioni complessivamente erogate dalla cooperativa appaltatrice nei confronti dei lavoratori impiegati nell’appalto: € 125.000 (Ccnl Cooperative sociali).

Aliquota di riferimento: 36,09%.

Contributi versati € 45.112 (125.000 * 36,09%).

Ricostruzione del rapporto previdenziale in capo al committente Rsa:

  • retribuzioni ricalcolate in base alle mansioni di Oss nel Ccnl Commercio: € 145.000;
  • aliquota di riferimento: 39,07%;
  • contributi ricalcolati: 145.000 * 39,07% = € 56.652,00;
  • differenza: € 11.540,00.

Sui singoli differenziali mensili, la cui somma determina l’importo di cui sopra, vanno calcolate e addebitate anche le sanzioni civili (con il criterio dell’omissione contributiva).

 

La responsabilità solidale

Tra le tante insidie che scaturiscono dalla stipula di un contratto di appalto (o di un subappalto) va annoverata anche la responsabilità solidale, istituto che trova la sua collocazione, a livello civilistico, in primis nell’articolo 1292, cod. civ., e che, va premesso, non può essere definita quale “sanzione” in senso stretto. Infatti, non a caso, presuppone, per la sua applicazione, comunque la presenza di un appalto lecito, cioè che abbia superato indenne il test di genuinità precedentemente trattato, integrando i requisiti di cui all’articolo 29, comma 1, D.Lgs. 276/2003 (e, più in generale, dell’articolo 1655, cod. civ.), generando in capo al committente (o al subappaltante) conseguenze sul piano strettamente economico, che, però, possono essere anche di rilevante entità.

È un istituto che ha evidenti scopi antielusivi, finalizzati essenzialmente a contrastare fenomeni di dumping contrattuale, oltre a svolgere una funzione “protettiva” nei confronti dei soggetti deboli della filiera degli appalti, quali sono di norma gli appaltatori (a maggior ragione i subappaltatori), i quali potrebbero essere costretti, in assenza di un rischio di coinvolgimento in capo al committente/obbligato solidale, ad accettare condizioni e tariffe “capestro” (più di quanto non accada comunque nella realtà), che, verosimilmente, non riuscirebbero a remunerare il costo del personale (retributivo e contributivo), impedendo l’applicazione di trattamenti dignitosi nei confronti dei lavoratori.

Nel corso degli anni mi sono occupato più volte di questa tematica[3], che nel panorama “schizofrenico” che caratterizza il nostro diritto del lavoro (le ultime disposizioni emanate in periodo di COVID-19 ne sono la conferma) occupa un posto di rilievo, in quanto a complicazioni. Ciò a causa di una “stratificazione” di norme venutasi a determinare nel corso degli anni, inserite tramite reiterati interventi legislativi non coordinati e armonizzati con la normativa preesistente, dalla quale è scaturito un quadro normativo intrecciato, frammentato, incoerente e farraginoso, che solo negli ultimi anni si è alleggerito, mediante lo sfoltimento di norme ridondanti, che si sovrapponevano tra loro (veri e propri “doppioni”, proprio in materia di solidarietà contributiva), con l’obiettivo di “concentrare” il più possibile la disciplina nell’articolo 29, comma 2, D.Lgs. 276/2003.

Ovviamente, questo intervento, per esigenze di spazio, si concentrerà sulla sola responsabilità solidale contributiva, della quale si cercherà di analizzare anche taluni aspetti pratici, frutto di prassi operative da parte degli organi di vigilanza.

 

Introduzione: la nozione di responsabilità solidale

Come si diceva in precedenza, l’istituto della responsabilità solidale è allocato, a livello civilistico, nell’articolo 1292, cod. civ., il quale dispone che si ha l’obbligazione in solido “quando più debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione, in modo che ciascuno può essere costretto all’adempimento per la totalità e l’adempimento da parte di uno libera gli altri; oppure quando tra più creditori ciascuno ha diritto di chiedere l’adempimento dell’intera obbligazione e l’adempimento conseguito da uno di essi libera il debitore verso tutti i creditori”.

La responsabilità è solidale quando più soggetti sono chiamati a rispondere per la stessa obbligazione, di talché ogni creditore ha la possibilità di rivolgersi per l’intero a ciascun debitore.

Di conseguenza, è necessario che vi sia:

  • una pluralità di soggetti;
  • la stessa prestazione da eseguire, da intendere nel senso di prestazione identica e diretta al soddisfacimento del medesimo interesse creditorio;
  • la stessa fonte da cui scaturisce la prestazione (irrilevanza dell’unicità o pluralità dei fatti o dei mezzi giuridici in conseguenza dei quali è nato l’obbligo ad adempiere a quella prestazione).

Le obbligazioni solidali vanno ascritte nella categoria delle obbligazioni soggettivamente complesse e si caratterizzano, a seconda dei casi, per la presenza di una pluralità di:

  • debitori (solidarietà passiva);
  • creditori (solidarietà attiva);
  • di debitori e creditori (solidarietà mista).

In merito alla solidarietà passiva (che è poi quella che interessa la materia degli appalti), la giurisprudenza ritiene possa avere anche carattere presuntivo, nel senso che, in presenza di più soggetti debitori, ove nulla sia disposto, l’obbligazione è da considerarsi solidale, nel momento in cui la solidarietà passiva arreca un indubbio vantaggio al creditore, che vede rafforzata la propria garanzia in ordine al soddisfacimento delle proprie pretese, atteso che, qualora un debitore si dimostrasse insolvente, può sempre contare sugli altri condebitori.

In buona sostanza il creditore, trovandosi dinanzi a più debitori, sceglie il debitore a cui richiedere l’adempimento dell’intero ed ha il diritto di ottenere da questi quanto dovuto. Peraltro, dell’adempimento dell’intero da parte di un debitore beneficiano, nei rapporti esterni, tutti gli altri, in quanto essi sono liberati nei confronti del creditore, nel senso che il debito nei confronti di tutti gli altri condebitori viene cancellato venendone, questi ultimi, a beneficiarne in modo indifferenziato. Tale effetto estintivo, ipso iure, è rilevabile a prescindere dall’eccezione di parte, nel giudizio di cognizione, e perfino in sede di legittimità ed opera anche nei confronti di altro coobbligato che non si sia avvalso della facoltà di invocare, in altro giudizio di merito, l’estinzione ex art. 1306 cod. civ. del giudicato già conseguito dall’altro coobbligato.

Va, altresì, tenuto conto che, rispetto ai rapporti interni, vale il principio generale in base al quale il debitore che ha pagato l’intero ha il diritto di ottenere da ciascun condebitore la propria parte (c.d. azione di regresso).

Esso viene ribadito anche in tema di responsabilità solidale correlata all’appalto dall’ultimo periodo dell’articolo 29, comma 2, D.Lgs. 276/2003, il quale dispone che: “Il committente che ha eseguito il pagamento può esercitare l’azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali”.

Va, inoltre, aggiunto che, in taluni casi, la libertà del creditore di scegliere, tra i vari debitori, quello che deve adempiere, può essere limitata attraverso l’inserimento nel titolo da cui consegue l’obbligazione di una sorta di graduatoria dei coobbligati, in virtù della quale si stabilisce un ordine che il creditore deve seguire nell’individuare il debitore a cui rivolgere per primo la richiesta di adempimento, oppure attraverso un vero e proprio “beneficio di escussione”.

Proprio in tema di appalti, l’articolo 29, comma 2, prevedeva una siffatta procedura, che è stata abrogata dall’articolo 2, comma 1, D.L. 25/2017 (convertito nella L. 49/2017), e quindi, allo stato, nulla vieta al creditore si escutere tutti gli obbligati in solido secondo un criterio discrezionale. Nondimeno, in materia contributiva, risulta che le prassi degli Istituti (nello specifico dell’Inps) continuano a rispettare un certo ordine sequenziale e, ancorché il verbale (se trattasi di credito derivante da accertamento ispettivo) venga contestualmente inviato al committente e, più in generale, a tutti i soggetti che stanno a monte della filiera degli appalti rispetto al debitore principale (se trattasi di subappalto), di norma viene escusso preliminarmente proprio tale ultimo soggetto.

Naturalmente, l’obbligato solidale risponde per la quota parte di retribuzione (e, di conseguenza, di contribuzione) maturata dal dipendente dell’appaltatore nel periodo di vigenza dell’appalto, nel senso che se il predetto lavoratore svolgesse attività su più appalti (ad esempio, addetto alle pulizie) si dovrebbe ricavare la quota di competenza di ogni committente. Il tutto con evidenti difficoltà e ricorrendo a stime non sempre attendibili.

Proprio l’invio del verbale anche ai coobbligati rappresenta un motivo di inquietudine da parte degli appaltatori, che spesso vedono incrinato il rapporto con il committente (con il rischio che venga anche risolto il contratto di appalto, pur se genuino), oltre a trovarsi di fronte o a un blocco dei pagamenti delle fatture sospese, ovvero a decurtazioni immediate dal debito della quota contributiva solidale addebitata in verbale, in genere senza particolari valutazioni sulla fondatezza delle argomentazioni sostenute in verbale.

 

Responsabilità solidale (contributiva) nel caso dell’appalto

Prima di affrontare la responsabilità solidale contributiva, giova ribadire, richiamando quanto già detto in precedenza, che siamo in presenza di un contratto di appalto (o subappalto) che ha superato indenne lo step di valutazione della legittimità, integrando i requisiti di cui all’articolo 29, comma 1, D.Lgs. 276/2003. Pertanto, si tratta di conseguenze meramente economiche che gravano sull’obbligato solidale (anche se qualche anno fa la Legge prevedeva anche una sanzione amministrativa in caso di mancato controllo della regolarità che aveva generato l’obbligo solidale).

Attualmente, dopo il tanto atteso sfoltimento di norme (fino a qualche anno fa esistevano 5 disposizioni di Legge che si occupavano, a volte sovrapponendosi, della solidarietà in tema di appalti) a cui si faceva cenno in precedenza, la norma principale è rappresentata dall’articolo 29, comma 2, D.Lgs. 276/2003, il quale dispone testualmente che: “In caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento. Il committente che ha eseguito il pagamento è tenuto, ove previsto, ad assolvere gli obblighi del sostituto d’imposta ai sensi delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e può esercitare l’azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali”.

Anzi, a dire il vero, la norma contenuta nella c.d. Riforma Biagi è, attualmente, l’unica rimasta a disciplinare la responsabilità solidale contributiva, atteso che le altre norme ancora vigenti (l’articolo 1676, cod. civ., e l’articolo 26, comma 3, D.Lgs. 81/2008) contemplano unicamente una responsabilità di tipo retributivo/risarcitorio a favore del lavoratore.

In realtà, l’espressione testuale, contenuta nell’articolo 29, comma 2, non brilla per chiarezza, atteso che in esso si parla di “corrispondere ai lavoratori (…) i contributi previdenziali ed i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto”, quasi come se la corresponsione dovesse avvenire nei confronti dei lavoratori, quando è evidente che i contributi e i premi assicurativi si “corrispondono”, semmai, agli istituti competenti.

Sempre riprendendo l’esempio precedente di un contratto di appalto tra una struttura per anziani (Rsa) (committente-appaltante) e una cooperativa sociale di tipo A (appaltatore) per l’affidamento di servizi di assistenza e badanza affidati a Oss: qualora il committente, in virtù della responsabilità solidale contributiva, dovesse provvedere a versare i contributi all’Inps in riferimento ai lavoratori impegnati nell’appalto a causa di omissioni contributive dell’appaltatore, lo stesso dovrà:

  1. aprire una nuova posizione matricolare Inps con CSC e CA propri della società appaltatrice (in quanto committente e appaltatore hanno inquadramenti previdenziali differenti);
  2. versare la contribuzione, per la quota a carico del datore di lavoro e del lavoratore, secondo le aliquote contributive dell’appaltatore;
  3. versare i contributi tramite F24 indicando la nuova matricola Inps.

In pratica, in questo caso i contributi saranno calcolati con le aliquote della cooperativa sociale, ma saranno versati dal committente, il quale non potrà recuperare dai lavoratori la quota di contribuzione a loro carico (non essendo suoi dipendenti), né potrà farlo l’appaltatore, in virtù del vincolo disposto dall’articolo 23, L. 218/1952 (Cassazione, n. 22379/2015).

ESEMPIO

Appaltatore: cooperativa sociale di tipo A – Ccnl di riferimento: Cooperative sociali.

Retribuzioni imponibili contributive per le quali non è stata versata la contribuzione dall’appaltatore: € 125.000 (Ccnl Cooperative sociali).

Aliquota di riferimento: 36,09%.

Contributi omessi: € 45.112 (125.000 * 36,09%).

Contribuzione versata dal committente secondo le modalità sopra riportate: € 45.112.

Tale complessa operazione può essere posta in essere dal committente spontaneamente (se viene a conoscenza dell’inadempienza: ad esempio, Durc negativo), oppure – caso più frequente – a seguito di ricezione di apposito verbale ispettivo (che quantifica il debito “solidale”) e ha lo scopo di evitare la formazione di atti ingiuntivi (avvisi di addebito Inps o cartelle esattoriali Inail), dandogli la possibilità di recuperare sull’appaltatore immediatamente la somma versata tramite scomputo in fattura.

 

Ambito di applicazione e durata del vincolo solidale

Per quanto concerne l’ambito di operatività della solidarietà (anche) contributiva, si rileva un ampliamento rispetto alla sola fattispecie del lavoro subordinato, visto che viene estesa ai lavoratori tout court, quindi anche ai lavoratori autonomi.

In questo senso il Legislatore, che ha disposto tale estensione tramite l’articolo 9, D.L. 76/2013, è di fatto “andato appresso” alla circolare n. 5/2011 del Ministero del lavoro, che aveva ipotizzato tale estensione sulla scorta di una generica definizione di “lavoratori” (contenuta sempre nell’articolo 29, comma 2, D.Lgs. 276/2003), quindi non circostanziata ai soli prestatori subordinati, anche se poi, con circolare n. 35/2013, il Ministero del lavoro ha inteso limitare l’intervento solidale, per quanto attiene alla materia contributiva, ai soli lavoratori (parasubordinati), cioè a quelli per i quali il committente agisce in funzione di “sostituto previdenziale”, nel senso che si occupa (ed è responsabile) del versamento contributivo (ad esempio, Gestione separata ex articolo 2, comma 26, L. 335/1995), trattenendo la quota a carico del lavoratore e aggiungendovi la propria.

Inoltre, si ricorda che la solidarietà contributiva non può essere esclusa, correttamente a parere di chi scrive, anche laddove ci fosse un divieto di subappalto (Cassazione, n. 27382/2019), mentre, in ragione dell’autonomia di cui gode il diritto previdenziale e della sua indisponibilità per le parti, si è ritenuto che la possibilità di derogare al regime di solidarietà, ovvero anche di escluderlo, prevista dall’articolo 8, D.L. 138/2011, tramite i c.d. contratti di prossimità, non possa estendersi alla materia contributiva (Ministero del lavoro, interpello n. 8/2016).

Va, altresì, annotata l’estensione del vincolo di solidarietà (quindi anche di quella contributiva) anche a istituti giuridicamente diversi dall’appalto, ma che presentano indubbie contiguità con quest’ultimo, quali il contratto di subfornitura ex L. 192/1998 (si veda la nota Corte Costituzionale, n. 254/2017), di consorzio (Cassazione, n. 6208/2008) e di “nolo a caldo” (Tribunale di Bologna, 22 novembre 2009), eleggendo la solidarietà a “principio generale in tutti i fenomeni di decentramento produttivo“[4].

Infine, in ordine alla durata del vincolo solidale, alcune recenti pronunce della Corte di Cassazione hanno generato, nei confronti di chi scrive, una vena polemica, non tanto sulle decisioni della Corte (che è ovviamente libera di fornire la propria interpretazione di una norma di Legge), quanto per il fatto che le sentenze si pongono in contrasto con quanto sostenuto dalla stessa prassi amministrativa, che poi, a latere, ha evidentemente sostenuto in giudizio una tesi diametralmente opposta.

Ci si riferisce, essenzialmente, alle sentenze di cassazione n. 18004/2019 e n. 22110/2019, nelle quali si è stabilito che la decadenza biennale prevista per poter escutere l’obbligato solidale (“entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto”), prevista sempre al comma 2, si debba riferire unicamente al trattamento retributivo e non anche ai contributi, per i quali vige, invece, il termine ordinario, prescrizionale, di 5 anni; di talché, approfittando delle citate pronunce, l’INL ha provveduto, senza indugio, all’emanazione della nota n. 9943/2019, nella quale, aderendo alle stesse, ha recepito il principio in virtù del quale il termine biennale non riguarda “l’azione promossa dagli Enti previdenziali per il soddisfacimento della pretesa contributiva, (…) soggetta, dunque, alla sola prescrizione prevista dall’art.3, comma 9 della legge 335/95”.

Si dà, però, il caso che la richiamata circolare n. 5/2011 del Ministero del lavoro aveva affermato esattamente il contrario, stabilendo che “Per quanto riguarda proprio l’aspetto contributivo, si evidenzia tuttavia che il termine decadenziale di due anni si riferisce evidentemente alla azione dell’Istituto nei confronti del responsabile solidale, mentre resta ferma l’ordinaria prescrizione quinquennale prevista per il recupero contributivo nei confronti del datore di lavoro inadempiente (appaltatore o eventuale subappaltatore)”.

L’atteggiamento della prassi risulta alquanto sconcertante, nel momento in cui, come si diceva, l’azione davanti alla Corte di Cassazione è stata promossa dall’Inps (organo, peraltro, gerarchicamente sottoposto al Ministero del lavoro).

 

La mancata estensione delle sanzioni civili nel debito solidale: una vicenda (forse) risolta

È evidente che un debito contributivo (previdenziale o assicurativo) non onorato nei termini di scadenza ordinariamente previsti comporta, di norma, anche l’applicazione di sanzioni civili (c.d. somme aggiuntive), ai sensi dell’articolo 116, comma 8, L. 388/2000, che le distingue a seconda che si verta in ipotesi di omissione contributiva (lettera a) che di evasione contributiva (lettera b), con tetti massimi (rispettivamente 40% e 60%), raggiunti i quali scattano interessi di mora.

A tal riguardo, in passato, ci si era posti, per l’appunto, il dubbio se nell’obbligo solidale dovessero rientrare anche dette somme.

La questione fu affrontata in modo ufficiale in una risposta a interpello da parte del Ministero del lavoro (interpello n. 3/2010), a mezzo del quale si era disposto che nel debito solidale richiesto al coobbligato si sarebbero dovute includere anche le somme dovute a titolo di interesse sui debiti previdenziali, assicurativi e le somme dovute a titolo di sanzioni civili.

Chi scrive non aveva, a suo tempo, condiviso tale interpretazione ministeriale, stante l’assenza di un’esplicita previsione normativa, non tanto per gli interessi che in effetti rappresentano “somme dovute in stretto rapporto con gli stessi debiti previdenziali o fiscali, volte a mantenere inalterato il valore reale di quanto dovuto alle Amministrazioni.”, quanto, invece, per le sanzioni civili, dove, a dispetto di quanto sostenuto nell’interpello, nel quale si dice che “appare evidente la natura risarcitoria”, in realtà si percepisce la natura “afflittiva”, soprattutto quando le sanzioni raggiungono possono raggiungere il 30% annuo in caso di evasione contributiva.

Oggi, la questione è stata definitivamente risolta dalla riscrittura dell’articolo 29, comma 2, D.Lgs. 276/2003, ad opera dell’articolo 21, D.L. 5/2012, convertito nella L. 35/2012, che, in materia di responsabilità solidale per contributi, dispone che si trasferisca il solo debito capitale, “restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento.”.  

Resta, però, non condivisibile (apparendo quasi come una sorta di accanimento) la tesi, sempre sostenuta dal Ministero con il parere n. 5826/2012, secondo cui, pur prendendo atto che le sanzioni civili non vanno più prese in considerazione, il regime di solidarietà continuerebbe ad applicarsi alle somme dovute a titolo di interessi moratori sul debito assicurativo, “nascenti su tale debito una volta raggiunta l’entità massima prevista della sanzione civile, considerata la portata generale dell’art. 1294 c.c. ed in mancanza, sul punto, di una previsione contraria della legge”. È evidente che gli interessi di mora sono una misura conseguenziale, accessoria, di “fonte derivata”, rispetto alle sanzioni civili e seguono la loro stessa sorte, in caso di esclusione.

 

Obbligo solidale e Durc: l’ininfluenza del debito solidale ai fini del rilascio

Va premesso che, nel corso degli ultimi anni, il Documento unico di regolarità contributiva, meglio noto con l’acronimo di Durc, disciplinato da ultimo dal D.M. 30 gennaio 2015, ha assunto un ruolo sempre più rilevante, nel senso che il suo possesso è condizione necessaria sia per l’ottenimento di talune agevolazioni (ad esempio, tutti i benefici contributivi e normativi: articolo 1, comma 1175, L. 296/2006), che, per poter svolgere determinate attività, tra cui proprio la partecipazione ad appalti pubblici e privati (in ambito edile, ma non solo), oltre che per ottenere pagamenti in acconto, di norma in relazione allo stato avanzamento lavori (c.d. Sal).

In ragione del vincolo solidale previsto in materia di appalti, può verificarsi che un committente (o un subappaltante, in caso di subappalto), pur non avendo debiti contributivi “propri”, cioè relativi alla posizione dei propri dipendenti, possa avere debiti contratti dall’appaltatore (o subappaltatore) e trasferiti anche allo stesso per effetto del predetto vincolo di solidarietà. In tali casi, pur essendoci un’irregolarità contributiva in senso lato, nel senso che il creditore (Inps, Inail, etc.) potrà comunque soddisfarsi chiamando in causa il debitore solidale, secondo il Ministero del lavoro questa possibilità non inficia il diritto a ottenere il Durc.

Ciò viene disposto attraverso il già citato interpello n. 3/2010, dove il Dicastero faceva presente che il D.M. 24 ottobre 2007, nell’Allegato A (oggi sostituito dal D.M. 30 gennaio 2015), elenca le disposizioni in materia di tutela delle condizioni di lavoro, la cui violazione è causa ostativa al rilascio del Durc e, tra queste, non compare l’ipotesi dell’irregolarità contributiva derivante dall’accollo di debiti solidali, cioè contratti da terzi, in relazione ai contratti di appalto o subappalto. Tale interpretazione non risulta mutata a seguito della novella legislativa del 2015.

L’unica particolarità è che tra le annotazioni del Durc dovrà essere evidenziato che esiste un obbligo solidale con un’altra azienda, per la quale dovranno essere specificati la denominazione sociale e il numero di posizione contributiva (ove presente), nonché l’importo della sorte contributiva dovuta a titolo di obbligazione solidale.

 

Conclusioni

Quindi, mai come in questo caso, si dovrebbe dire, è opportuno scegliere bene il partner con il quale stipulare un contratto d’appalto, onde evitare spiacevoli sorprese sia sotto il profilo della legittimità contrattuale (ma in questo caso le responsabilità sono anche del committente, che deve astenersi dall’esercitare il potere direttivo nei confronti dei dipendenti dell’appaltatore), che sotto il profilo del coinvolgimento economico originato dalla responsabilità solidale.

Per arginare tale pericolo è fondamentale un monitoraggio preventivo e costante e, in questo senso, possono essere certamente d’aiuto 2 procedure, quali la certificazione del contratto ex articoli 75-81, D.Lgs. 276/2003 (per dare una “presunzione di legalità” all’appalto), ovvero la procedura di Asse.co, gestita dal Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, che rilascia un’asseverazione contributiva circa la regolarità del soggetto verificato (ad esempio, l’appaltatore), atta a prevenire e scongiurare il rischio di un intervento solidale.

 

[1] Sulla reintroduzione della fattispecie della somministrazione fraudolenta ad opera del Decreto Dignità si permetta il rinvio a F. Natalini, La somministrazione fraudolenta, in L. Fiorillo, A. Perulli (a cura di), “Decreto Dignità” e Corte Costituzionale n. 194 del 2018. Come cambia il Jobs Act, Giappichelli editore, pagg. 31-42. Parimenti: V. Lippolis, Appalto illecito e fraudolento: responsabilità di appaltatore e committente, DPL, 2018, pag. 2063.
[2] Cfr. R. Del Punta, Le molte vite del divieto di interposizione nel rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., parte I, 2008, pagg. 129 ss..
[3] Si permetta il rinvio a: F. Natalini, Il regime di responsabilità negli appalti, in L. Fiorillo, A. Perulli (a cura di), “La Riforma del diritto del lavoro”, Giappichelli, 2014, pagg. 506-557..
[4] A. Tagliente, L’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 29, comma 2 d.lgs. n. 276 del 2003: la responsabilità solidale del committente quale principio generale in tutti i fenomeni di decentramento produttivo? nota a Corte Cost. 7 novembre 2017, n. 254, ADL, 2018, 582; M.T. Carinci, Il concetto di appalto rilevante ai fini delle tutele giuslavoristiche e la distinzione da fattispecie limitrofe, in M.T. Carinci e altri (a cura di), “Tutela e sicurezza del lavoro negli appalti privati e pubblici. Inquadramento giuridico ed effettività”, Utet, 2011.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Guida pratica previdenziale“.

 

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