4 Novembre 2020

L’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori

di Marco Azzoni

L’articolo 19, St. Lav., è una norma baricentrica per il diritto sindacale italiano. Essa non solo contiene – sin dalla sua emanazione – la disciplina legale per la costituzione degli organismi di rappresentanza dei lavoratori in azienda, ma ha altresì spinto, a più riprese, gli operatori del diritto a chiedersi concretamente quali siano i criteri più corretti per la misurazione della rappresentatività del sindacato.

 

Una premessa storica: la prima formulazione dell’articolo 19, St. Lav.. Nozione di “confederazione maggiormente rappresentativa” e questioni di legittimità costituzionale

Il testo dell’articolo 19, al momento dell’emanazione dello Statuto dei Lavoratori, nel maggio 1970, era profondamente diverso rispetto all’attuale formulazione della norma. L’articolo 19, infatti, che, come noto, si occupa di individuare i criteri in presenza dei quali possono essere costituite rappresentanze sindacali in azienda, intitolate a fruire dei diritti di cui al Titolo III del medesimo Statuto, ha vissuto – forse più di ogni altra norma della L. 300/1970 – un’evoluzione lunga e composta da numerose tappe, che, pur lasciandone intatta la funzione di norma finalizzata – in ultima istanza – a positivizzare i criteri della rappresentatività sindacale in azienda, ne hanno profondamente mutato il contenuto sostanziale. Non solo: tale evoluzione del dettato normativo si è sempre posta in stretta correlazione con la prassi delle relazioni sindacali; proprio dalla prassi applicativa, infatti, hanno spesso tratto origine i vari spunti di riforma che si sono succeduti; a sua volta, l’evoluzione del testo della norma ha orientato i comportamenti degli attori del diritto sindacale.

Come si diceva, al momento della sua emanazione, la norma aveva un contenuto sostanziale con notevoli tratti di diversità rispetto a quello attuale. In particolare, la previsione è nota per avere fatto ricorso, ai fini della misurazione della rappresentatività in azienda, al concetto di sindacato maggiormente rappresentativo. In particolare, mediante l’articolo 19, il Legislatore statutario aveva previsto che

Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito

a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale;

b) delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva.

Nell’ambito di aziende con più unità produttive le rappresentanze sindacali possono istituire organi di coordinamento”.

Era chiaro, insomma, nella prima formulazione della norma, che requisiti imprescindibili per la costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali (Rsa) fossero l’iniziativa dei lavoratori e la riconducibilità dell’iniziativa stessa al sindacato (espressa mediante la locuzione di ampia portata “nell’ambito”). Vi era, poi, un ulteriore duplice ordine di requisiti, tra loro alternativi: la riconducibilità della rappresentanza a un’associazione sindacale aderente a una confederazione sindacale maggiormente rappresentativa sul piano nazionale; oppure la sua riconducibilità a un’associazione comunque firmataria di contratti collettivi – nazionali o provinciali – applicati nell’unità produttiva.

Per quanto attiene ai primi 2 requisiti, come noto, l’orientamento giurisprudenziale consolidatosi nel tempo interpretava in modo tutt’altro che rigoroso – ciò, peraltro, in piena sintonia con la formulazione ampia utilizzata dal Legislatore – sia la necessaria iniziativa dei lavoratori sia la riconducibilità della rappresentanza alle associazioni sindacali di cui alla successiva lettera a) o b) della norma. Quanto al requisito dell’iniziativa dei lavoratori, infatti, si è sempre ritenuta sufficiente l’esistenza di “una qualsiasi forma di coordinamento tra la Rsa e la base dei lavoratori”. Tuttavia, non sono mancate, nel corso del tempo, pronunce giurisprudenziali che, sul punto, hanno attribuito un valore non meramente formale, ma sostanziale, alla previsione secondo cui le Rsa devono essere costituite “nell’ambito” delle associazioni sindacali di cui alle lettere a) e b) dell’articolo 19. In tal senso, ad esempio, è stata ritenuta fondamentale, in caso di contestazione, la possibilità di dimostrare la riconducibilità della costituzione della rappresentanza all’effettiva iniziativa dei lavoratori.

Naturalmente, le principali questioni interpretative hanno riguardato le nozioni di cui alla lettera a) e alla lettera b) della norma, in base alle quali, come detto, la Rsa doveva essere costituita nell’ambito di associazioni aderenti a confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale; oppure ad associazioni firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali applicati nell’unità produttiva.

Quanto alla prima delle 2 nozioni, si è sempre evidenziata la sua portata, per così dire, “accentratrice”. Infatti, si è sempre sottolineato che il requisito della maggiore rappresentatività è stato riferito dalla norma non già all’associazione nazionale di categoria, bensì alla confederazione di cui l’associazione fa parte (in proposito, è stata coniata la calzante locuzione di “rappresentatività presunta o per irradiamento”).

Appariva, dunque, chiara l’intenzione del Legislatore di ricondurre il più possibile anche le rivendicazioni di livello aziendale alle strategie sindacali dettate al livello confederale. Non stupisce, quindi, che la giurisprudenza, coerentemente con tale finalità, abbia sviluppato una nozione di rappresentatività incentrata sull’accertamento di una serie di indici di natura sia quantitativa sia qualitativa: il numero degli iscritti, l’ampiezza e la diffusione delle strutture organizzative del sindacato, la sua capacità di esercitare attività di autotutela.

Del tutto diverso – e per certi versi complementare al primo – si rivelava il criterio di cui alla lettera b) della formulazione originaria dell’articolo 19, che riconosceva la possibilità di costituire Rsa nell’ambito di associazioni che, pure non appartenenti alle confederazioni maggiormente rappresentative, fossero firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, purché si trattasse di contratti nazionali o provinciali. Era evidente, in questo senso, la volontà di contemperare, appunto, il criterio della rappresentatività c.d. presunta con un criterio maggiormente basato sull’effettiva azione sindacale dell’associazione di categoria, anch’esso pienamente idoneo a legittimare la costituzione di Rsa.

La prima formulazione della norma è sopravvissuta a numerosi scrutini di legittimità costituzionale. La prima questione di legittimità costituzionale era stata prospettata con riferimento agli articoli 3 e 39, comma 1, Costituzione: la Corte, investita della questione, ha ritenuto legittima la formulazione dell’articolo 19, St. Lav., sulla base del fatto che la norma non avrebbe leso il principio di libertà sindacale, perché essa non avrebbe comunque impedito di costituire organismi di rappresentanza a livello aziendale secondo meccanismi diversi da quelli di cui, appunto, all’articolo 19. Soltanto, a tali eventuali rappresentanze prive dei requisiti di cui alla norma in esame sarebbe stato precluso fruire dei diritti di cui al Titolo III del medesimo Statuto (senza, peraltro, che fosse possibile ravvisare profili di irragionevolezza in tali criteri di distinzione).

Successivamente, un’ulteriore questione di legittimità costituzionale è stata prospettata con riferimento all’articolo 39, comma 4, Costituzione: anche in questo caso, la Corte ha confermato la legittimità dell’articolo 19 dello Statuto, ritenendo non in contrasto con il ruolo baricentrico attribuito al sindacato di categoria dalla citata norma costituzionale il fatto che la norma statutaria attribuisse rilievo preminente alla rappresentatività a livello confederale. Diversa, infatti, è la funzione delle 2 previsioni (funzionale alla contrattazione collettiva l’articolo 39, comma 4, Costituzione; inerente alla rappresentatività in azienda, appunto, l’articolo 19, St. Lav.).

 

Il referendum del 1995 e le nuove questioni di legittimità costituzionale del testo emendato

Come si è anticipato, il testo dell’articolo 19, St. Lav., è stato oggetto di rilevanti modifiche rispetto a quanto previsto dalla sua formulazione originaria. In particolare, a seguito del referendum popolare svoltosi nel 1995, il testo della norma è stato profondamente emendato, mediante l’eliminazione integrale della lettera a) e la rimozione dei termini “nazionale o provinciale” dal disposto di cui alla lettera b).

All’esito della modifica, il testo della norma risultava dunque il seguente:

“Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito: […]

b) delle associazioni sindacali, che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva.

Nell’ambito di aziende con più unità produttive le rappresentanze sindacali possono istituire organi di coordinamento”.

La conseguenza di tale modifica è stato il radicale venir meno del concetto della rappresentatività c.d. presunta o per irradiamento, che, come si è detto, doveva essere accertata con riferimento alla confederazione.

Conseguentemente, è stato, invece, attribuito rilievo preminente al concetto di rappresentatività effettiva, misurata sulla circostanza di essere firmatari di un contratto collettivo applicato nell’unità produttiva.

Non solo: di notevole rilievo è da considerarsi pure la modifica della lettera b) della norma, che ha avuto la conseguenza – non da poco – di consentire la costituzione di Rsa anche a quelle associazioni sindacali che fossero risultate firmatarie anche soltanto di un contratto collettivo aziendale (essendo caduta la locuzione che richiedeva, appunto, la sottoscrizione di un contratto nazionale o provinciale).

Così come riformulata, tuttavia, la norma ha subito generato alcuni dubbi di legittimità costituzionale, ben distinti da quelli che erano stati sollevati in riferimento alla vecchia formulazione. Si è, infatti, obiettato che la nuova formulazione avrebbe potuto facilmente finire per subordinare il diritto di costituire una Rsa al cd. potere di accreditamento da parte del datore di lavoro, che, decidendo i soggetti con i quali contrattare a livello aziendale (e, in ogni caso, potendo decidere a quale Ccnl dare applicazione), avrebbe di fatto finito con il poter inibire la costituzione di Rsa a soggetti di fatto molto rappresentativi, oppure, al contrario, di consentire a soggetti poco rappresentativi di costituire le proprie rappresentanze in azienda.

La questione è stata portata avanti alla Corte Costituzionale, la quale ha ritenuto la norma legittima, a patto che sia interpretata nel senso di non ritenere sufficiente l’apposizione della sottoscrizione dell’associazione sindacale sul contratto collettivo, ma di richiedere un’effettiva partecipazione alla stipulazione del contratto. In tal modo, la Corte ha fornito una lettura idonea a superare la problematica del c.d. “potere di accreditamento”. Non solo: la medesima pronuncia ha, altresì, precisato che, sempre nell’ottica della necessaria dimostrazione di un’effettiva forza contrattuale da parte del sindacato, è, altresì, necessario che il contratto sottoscritto a seguito di un’effettiva partecipazione alle trattative sia configurabile come “contratto normativo”, che sia finalizzato, cioè, alla regolamentazione dei rapporti di lavoro. Nel solco dei binari tracciati dalla Corte Costituzionale, anche la successiva giurisprudenza di legittimità ha posto l’accento sulla necessità della sottoscrizione di contratti collettivi di contenuto “normativo”, ai fini della possibilità di costituire Rsa, per contro escludendo tale facoltà sulla base della mera stipulazione dei c.d. contratti gestionali.

 

Il testo vigente dell’articolo 19, St. Lav.: il contenuto della norma dopo la pronuncia della Corte Costituzionale n. 231/2013

La formulazione dell’articolo 19, St. Lav., come risultante dalla sentenza n. 244/1996 della Corte Costituzionale, ha funzionato senza presentare ulteriori problemi applicativi di rilievo fino alla vicenda nota come il c.d. caso Fiat, che ha visto emergere in modo, per certi versi dirompente, una problematica sottesa al testo post referendario dell’articolo 19 e che era rimasta, fino ad allora, latente.

In estrema sintesi, Fiom-Cgil, dopo avere partecipato – con un ruolo tutt’altro che marginale – alle trattative, aveva deciso, in linea di forte rottura con la controparte, di non sottoscrivere un contratto collettivo contenente un determinato modello di disciplina dei rapporti di lavoro – sostanzialmente aziendale, ancorché teso all’applicazione in tutte le unità produttive della citata azienda sul territorio nazionale – che risultava anche nel caso di specie l’unico applicabile.

Conseguentemente, Fiom-Cgil si è trovata, quasi inaspettatamente, nell’impossibilità – articolo 19, St. Lav., alla mano – di costituire una propria rappresentanza aziendale, pur godendo, in concreto, di un forte livello di rappresentatività. A ciò non poteva che conseguire una nuova questione di legittimità costituzionale del testo della norma, sotto un profilo che la pronuncia del 1996 non aveva preso – né avrebbe potuto prendere – in considerazione. In sostanza, il quesito ora sottoposto alla Corte era quello di accertare se la norma – ancorando di fatto il diritto di costituire Rsa alla stipulazione di un contratto collettivo – non finisce inevitabilmente per incidere sulla libertà sindacale delle associazioni, che dovrebbe contemplare altresì il diritto di non sottoscrivere un testo ritenuto non soddisfacente.

La questione è stata affrontata – e risolta, almeno per ora – dalla nota sentenza n. 231/2013, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, 1° comma, lett. b), della l. 20 maggio 1970 n. 300, nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda”.

L’approdo della Corte, se ha avuto il merito di risolvere alcune problematiche, ha inevitabilmente lasciato anche alcuni nodi scoperti. Ad esempio, si è fin da subito osservato che il criterio dell’effettiva partecipazione alle trattative risulterebbe non sempre di agevole valutazione. Per altro verso, si è evidenziato che resta in ogni caso irrisolta l’ipotesi – del resto ben suscettibile di verificarsi, anche alla luce del principio di libertà sindacale di cui all’articolo 39, comma 1, Cost. – di radicale mancanza di un contratto collettivo di lavoro applicato nell’unità produttiva.

Del carattere provvisorio della citata pronuncia è apparsa, in ogni caso, fin da subito consapevole anche la stessa Corte Costituzionale, che, nel pronunciare la sua sentenza manipolativa, ha sostanzialmente rivolto un monito al Legislatore, nel senso di sollecitare una revisione dei criteri di misurazione della rappresentatività (ad esempio, attribuendo rilievo a elementi quale il numero degli iscritti, oppure a possibili forme di investitura diretta mediante elezioni nei luoghi di lavoro).

 

Il rapporto tra le norme di Legge e la regolamentazione pattizia: Rsa e Rsu

La trattazione dell’articolo 19, St. Lav., non può non richiedere di soffermarsi brevemente anche sulle norme di regolamentazione pattizia delle rappresentanze sindacali in azienda, tempo per tempo succedutesi. Infatti, come noto, posto che l’articolo 19 contiene – e ha sempre contenuto – la disciplina del modello legale di rappresentanza sindacale in azienda, le parti sociali, a partire dal protocollo del 23 luglio 1993 (sottoscritto dal Governo e dalle principali organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro) e dai relativi accordi interconfederali attuativi, hanno avuto di mira l’obiettivo di introdurre regole comuni volte all’individuazione di organismi unitari di rappresentanza. In particolare, si è prevista la costituzione di Rsu, organismi costituiti su base elettiva e al fine di rappresentare in modo unitario tutti i lavoratori di una certa impresa. A mente dei citati accordi interconfederali (si veda, ad esempio, l’accordo interconfederale per il settore industria del 20 dicembre 1993, e quello del settore commercio del 27 luglio 1994), la Rsu era composta per 2/3 dei suoi componenti da membri eletti dai lavoratori sulla base delle liste presentate dai sindacati (sia da quelli firmatari dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva sia da quelli non firmatari che avessero previamente aderito alla disciplina di cui all’accordo interconfederale e avessero, altresì, ottenuto il 5% delle firme dei lavoratori aventi diritto al voto nell’unità produttiva medesima), e per il restante terzo da membri designati nelle liste presentate dai sindacati firmatari del Ccnl applicato nell’unità produttiva (c.d. regola del terzo riservato).

Tale disciplina “storica” è stata recentemente modificata dalle stesse parti sociali, che, anche a seguito di alcune vicissitudini, in parte già richiamate, della contrattazione collettiva (ad esempio, la sempre più frequente rottura dell’unitarietà sindacale e la talvolta conseguente impossibilità, per talune sigle, di costituire rappresentanze in azienda, laddove tornava ad essere applicabile il modello delle Rsa), hanno inteso ripensare proprio la regolamentazione delle rappresentanze sindacali unitarie. In particolare, è stato con il ben noto T.U. sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014 che Cgil, Cisl e Uil, da una parte, e Confindustria, dall’altra, hanno introdotto, tra l’altro, alcuni correttivi alla disciplina di cui al protocollo del 1993 in tema di Rsu.

In particolare, il T.U. ha introdotto alcune importanti novità, come l’espressa menzione di una regola di maggioranza per le deliberazioni in seno alla Rsu stessa, e l’eliminazione della citata regola del terzo riservato, nell’intento di rafforzare il principio democratico e rendere maggiormente inclusive le forme di rappresentanza in esame.

Il sistema qui in esame è divenuto via via il modello di riferimento per la regolamentazione delle Rsu, se è vero che, dopo il T.U. del gennaio 2014, applicabile al settore industriale, si sono succeduti anche altri accordi, del medesimo tenore, applicabili ad esempio al settore commercio (accordo 26 novembre 2015) o al settore delle cooperative (accordo 28 luglio 2015).

 

Conclusioni: l’articolo 19, St. Lav., oggi

In conclusione, si può osservare come, nell’odierna prassi applicativa, il modello delle Rsu risulti quello sostanzialmente più diffuso, anche in quanto, come visto, sono le stesse confederazioni sindacali ad avere individuato una sua regolamentazione pattizia. Ciò, però, non toglie valore e rilievo al disposto di cui all’articolo 19, St. Lav., in primis perché i 2 modelli di rappresentanza ben possono, in ipotesi, convivere nella stessa realtà aziendale, non essendovi alcuna norma – né di Legge né di contratto – che introduca eventuali incompatibilità tra i 2 modelli, i quali sono semplicemente frutto di 2 differenti regolamentazioni e in esse riscontrano i rispettivi presupposti e meccanismi di funzionamento. Ma v’è di più: l’attuale regolamentazione della formazione delle Rsu, di cui agli accordi interconfederali da ultimo citati, le rende pienamente compatibili anche con il modello delle Rsa (in particolare, quando la rappresentanza unitaria sia composta nell’ambito di sigle sindacali firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva), ciò con la conseguenza, a tacer d’altro, che i diritti di cui al Titolo III dello Statuto dei Lavoratori ben potranno essere fruiti – nel pieno rispetto proprio dell’articolo 19 – anche dalle stesse Rsu.        

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Il giurista del lavoro“.

 

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