1 Settembre 2020

Trasferte: gli ultimi orientamenti dalla Cassazione

di Luca Vannoni

Nel corso dell’estate la Corte di Cassazione è intervenuta più volte sul tema delle trasferte, con pronunce che hanno toccato diversi aspetti di tale istituto.

Da una parte, nonostante un’isolata pronuncia della Cassazione segnalata proprio su queste pagine, si consolida l’orientamento in base al quale, in materia di trattamento contributivo dell’indennità di trasferta, l’articolo 51, comma 6, D.P.R. 917/1986, relativo al trasfertismo, secondo l’interpretazione autentica di cui all’articolo 7-quinquies, D.L. 193/2016, si applica – anche in modo retroattivo – ai lavoratori per i quali sussistono contestualmente le seguenti condizioni:

  • la mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro;
  • lo svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità;
  • la corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di un’indennità o maggiorazione di retribuzione “in misura fissa”.

La Cassazione civile, sezione lavoro, 4 agosto 2020, n. 16673, ha quindi cassato la sentenza della Corte d’Appello di Torino del 5 dicembre 2013, dove si era ritenuta non rilevante l’indicazione in contratto della sede di lavoro e la corresponsione di indennità in misura variabile e comunque rapportata alle giornate effettive di trasferta, avendo dato, viceversa, peso soltanto alla continua mobilità dei lavoratori.

L’autonomia nello scegliere la disciplina fiscale più conveniente – nella gran parte dei casi, la trasferta – si fonda, quindi, su 2 aspetti, anche in modo disgiunto: uno formale, la sede di lavoro, l’altro economico, corresponsione di un’indennità variabile, non fissa, discontinua.

Sicuramente interessante è poi la sentenza di Cassazione civile, sezione lavoro, n. 14380/2020, dove l’Inps ha contestato indennità di trasferta (settore edile) per lavoratori residenti a Napoli, dipendenti di una ditta di Napoli, ma assunti per lo svolgimento di un appalto a Bologna, ed esclusivamente per quello.

Secondo la Suprema Corte, in tal caso vi è coincidenza tra il luogo di assunzione e il luogo di prestazione dell’attività lavorativa: non si è verificata, dunque, una trasferta dei lavoratori da Napoli a Bologna, in quanto i lavoratori hanno lavorato sempre e solo a Bologna, cioè nello stesso luogo in cui sono stati assunti.

Se assumo per un singolo cantiere, la trasferta non risulta applicabile, a prescindere dalla sede dell’azienda o dalla residenza del lavoratore, a meno che quest’ultimo sia temporaneamente inviato in altro luogo.

È evidente, quindi, che i margini di autonomia nella scelta del regime da applicare tra trasferta e trasfertismo, con le note conseguenze fiscali, non possono portare a considerare sede di trasferta quella che è la sede abituale e ordinaria sulla base di presupposti soggettivi, relativi al lavoratore (residenza) e al datore di lavoro (sede legale): è soltanto la prestazione che determina il radicamento ai fini della sussistenza dell’istituto della trasferta.

 

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