2 Maggio 2019

Abuso nella fruizione dei permessi sindacali: quando il licenziamento è legittimo

di Luca Vannoni

La Corte di Cassazione, con sentenza del 20 febbraio 2019, n. 4943, affronta un’interessante questione afferente alla tematica dell’abuso del diritto nel rapporto di lavoro, relativa all’utilizzo dei permessi sindacali accordati dall’azienda per finalità ricreative e comunque estranee alla loro originaria motivazione.

Il punto di partenza delle motivazioni della sentenza della Cassazione è la distinzione tra permessi ex articolo 23 e permessi ex articolo 30, L. n.300/1970, anche per precisare i margini di verifica del datore di lavoro senza rischiare di ledere i principi di libertà e autonomia dell’attività sindacale dei lavoratori.

Si ricorda che l’articolo 23, L. 300/1970, prevede al comma 1 che “i dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali di cui all’articolo 19 hanno diritto, per l’espletamento del loro mandato, a permessi retribuiti”. Dopo aver definito, al comma 2, i dirigenti sindacali interni che possono beneficiare dei permessi retribuiti, nei commi 3 e 4 si specifica che “I permessi retribuiti di cui al presente articolo non potranno essere inferiori a otto ore mensili nelle aziende di cui alle lettere b) e c) del comma precedente; nelle aziende di cui alla lettera a) i permessi retribuiti non potranno essere inferiori ad un’ora all’anno per ciascun dipendente. Il lavoratore che intende esercitare il diritto di cui al primo comma deve darne comunicazione scritta al datore di lavoro di regola 24 ore prima, tramite le rappresentanze sindacali aziendali”.

L’articolo 30, sempre dello Statuto dei Lavoratori, prevede, viceversa, in riferimento ai dirigenti provinciali o nazionali, che “i componenti degli organi direttivi, provinciali e nazionali, delle associazioni di cui all’articolo 19 hanno diritto a permessi retribuiti, secondo le norme dei contratti di lavoro, per la partecipazione alle riunioni degli organi suddetti”.

Se da una parte è sicuramente vero che le attività in cui si sostanzia il mandato sindacale (articolo 23) non sono controllabili dal datore di lavoro, ferma restando la censurabilità nel caso in cui si accerti la fruizione del permesso per fini personali, la partecipazione alle riunioni degli organi direttivi (articolo 30) può essere controllata e, in caso di accertata mancata partecipazione, essere sanzionata disciplinarmente.

Riguardo alle possibili conseguenze per la fruizione dei permessi per finalità diverse, la sentenza n. 4943/2019 opera una distinzione tra finalità comunque di matrice sindacale e finalità esterne e assolutamente personali.

Se i permessi ex articolo 30 sono utilizzati per la preparazione delle riunioni o per l’attuazione delle decisioni, viene meno l’obbligo retributivo da parte del datore di lavoro e l’indebito utilizzo dei permessi non determina un inadempimento. Se, viceversa, si travalica la finalità sindacale, l’abuso commesso rileva sicuramente a livello disciplinare e, potenzialmente, può giustificare la sanzione disciplinare espulsiva del licenziamento per giusta causa.

Già in passato vi erano pronunce in tal segno (si veda Cassazione n. 454/2003), ma riguardavano casi dove i permessi sindacali erano un ulteriore strumento di contenzioso in un rapporto ormai logorato (nella sentenza n. 454/2003): nella sentenza in commento, la fruizione dei permessi sindacali ex articolo 30, St. Lav., rientra nelle consuete dinamiche disciplinari, dove anche poche giornate di permesso “abusive” possono determinare la risoluzione del rapporto.

Per quanto riguarda i permessi dei dirigenti “interni” ex articolo 23, non sembrano percorribili indirizzi che consentano anche limitati controlli e che legittimino conseguenze disciplinari: la protezione da utilizzi distorti in favore del datore di lavoro non può che estrinsecarsi in limiti quantitativi e obblighi procedurali, definiti, oltre che dalla norma sopra citata (richiesta in forma scritta di regola 24 ore prima) dalla contrattazione collettiva applicabile.

 

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