30 Aprile 2019

Il contratto a termine stagionale, questo privilegiato

di Roberto Lucarini

Nella dura lotta per la sopravvivenza, che deve sostenere a ogni riforma del diritto del lavoro, ne esce spesso con le ossa rotte: mi riferisco, ça va sans dire, al contratto a tempo determinato.

Ma esiste un’eccezione, nella specie contrattuale, che in qualche modo riesce a sopravvivere decentemente: si tratta del contratto a termine di tipo stagionale, il quale, giustamente peraltro, gode di regole ad hoc; di una sorta di semi immunità. Per ovvi motivi, infatti, nemmeno il nostro terribile Legislatore, che ha brandito la spada della “dignità”, ha pensato di eliminare questa sorta di privilegio normativo.

Sul tema del contratto stagionale si verifica, quale prima questione, l’assoluta assenza di una precisa definizione normativa di “stagionalità”, ossia di azienda stagionale. E questo è già un bel problema per chi, suo malgrado, si trova a maneggiare questo tipo di contratto. A dire il vero il Jobs Act – la riforma guelfa, oggi in parte ribaltata dal Dignità ghibellino – avrebbe previsto che uno specifico decreto ministeriale definisse tali attività; del provvedimento, come talora accade, non si è avuto il minimo accenno. Tocca quindi rifarsi al vecchio D.P.R. 1525/1963 (diciamo meglio non più giovane, dato che è quasi mio coetaneo), con le sue indicazioni talora abbastanza desuete. Oppure aggrapparsi con le unghie alla contrattazione collettiva, dove talora si riscontrano non poche difficoltà, con l’eccezione del settore turistico.

Il problema, sul piano definitorio, si pone infatti per quelle attività che non si rivelano come stagionali sul piano normativo – ossia quelle che abbiano “un periodo di inattività non inferiore a settanta giorni continuativi o centoventi giorni non continuativi” nell’anno solare (D.P.R. 1525/1963, allegato 1, punto 48) – ma che in effetti riscontrino picchi di lavoro legati, appunto, alla stagionalità. La questione deve essere quindi attentamente analizzata sulla base del Ccnl applicato all’azienda, oppure ricorrendo alla contrattazione di secondo livello.

Ciò che connota al meglio il contratto a termine stagionale sono, tuttavia, le molte deroghe alla stringente disciplina dell’ordinario tipo contrattuale. Vediamole, in massima sintesi.

Il contratto stagionale non sottostà al limite di durata massima del contratto a termine, oggi pari a 12 mesi (considerando che le causali, che pur estenderebbero la durata massima a 24 mesi, sono senz’altro da evitare come la peste).

In sintonia con ciò, anche per proroghe e rinnovi viene esclusa l’applicazione delle nuove causali, pur ponendosi sul punto un problema legato alle ipotesi di proroga. Per queste, infatti, la normativa non presupporrebbe una deroga al loro limite massimo, ad oggi posto a 4, anche se, in un’interpretazione sistemica, appare del tutto incongruo porre tale limite al lavoro stagionale. Rimanendo tuttavia il dubbio, operativamente appare utile ricorrere al rinnovo piuttosto che alla proroga. Questo perché, ed eccoci a un’altra deroga, per il contratto stagionale non sono previsti gli stacchi in caso di rinnovo, per cui è possibile far seguire un contratto al precedente senza stop and go.

Anche il limite massimo dei contratti a termine stipulabili (20%, ex lege) risulta inapplicabile al lavoro stagionale, stante appunto la caratteristica peculiare del tipo di attività.

Pure sul piano economico si riscontra un vantaggio, non dovendosi applicare al nostro contratto il contributo aggiuntivo dell’1,4%, previsto dalla riforma della tanto amata coppia Mont-Fornero.

Da tenere d’occhio, infine, il particolare tipo di precedenza esistente nel lavoro stagionale, in parte diversa dal caso classico; per farvi un’idea date un occhio al disposto dell’articolo 24, comma 3, D.Lgs. 81/2015.

Con tale rapida panoramica si è visto come il contratto a termine stagionale si smarchi dal classico contratto a tempo determinato; una posizione di privilegio che, di fatto, è dovuta alla peculiare forma di svolgimento dell’attività soggetta appunto a stagionalità, per definizione ciclica.

Attenzione, però, a individuare correttamente, partendo dal D.P.R. 1525/1963, per finire al Ccnl applicato, che l’azienda rientri tra quelle c.d. stagionali.

 

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