26 Marzo 2019

L’indennità per ferie non godute è soggetta a tassazione?

di Roberto Lucarini

Iniziamo subito con una domanda: l’erogazione dell’indennità per ferie non godute è soggetta a tassazione?

Se provate a chiedere in giro, nel nostro ambito, of course, riceverete varie risposte che variano tra: “sì certo”; “non senz’altro”; “boh, non lo so”. E questo, col caos che regna sovrano, può anche starci.

Un po’ più strano, invece, è che tale confusione si rinvenga anche a livello giurisprudenziale; purtroppo è così e di seguito vi riporto un recente esempio.

Prima, però, ricordo che l’indennità in discorso non è liberamente erogabile, anche se in accordo tra le parti. Il Legislatore, comprimendo un eventuale atto volontario di rinuncia ritenuto iniquo, ha offerto al lavoratore un diritto indisponibile circa le 4 settimane di ferie minime, previste ex lege (D.Lgs. 66/2003). Tali “vacanze” vanno fatte, punto; non sono sostituibili con l’erogazione di un’indennità per loro mancato godimento, salvo il caso della cessazione del rapporto di lavoro. Se il Ccnl, o il contratto individuale, concede al lavoratore un periodo extra rispetto a quello legale minimo, tale intervallo resta invece nella disponibilità del dipendente, che potrà dunque scegliere per la non fruizione contro erogazione dell’indennità.

Detto questo, ponendo che vi sia l’erogazione dell’indennità in discorso, veniamo alla nostra domanda circa il suo eventuale assoggettamento a tassazione. Dico subito che la tesi maggioritaria propende per una risposta in senso positivo. Un caso recente, deciso da Cassazione civile, sezione VI tributaria, con ordinanza n. 5482/2019, fa, tuttavia, capire che aria tira in giro.

Un lavoratore si è visto trattenere l’Irpef dal suo ex datore di lavoro, anche sulla somma erogatagli per indennità sostitutiva per ferie. Il tizio non l’ha presa bene e ha fatto istanza all’Agenzia delle entrate per chiedere indietro i soldi trattenutigli, a suo parere, erroneamente. L’Agenzia, emulando Ponzio Pilato, non ha risposto all’istanza ed è scattato il c.d. silenzio rifiuto. Al povero contribuente, quindi, è rimasta solo la via del giudice tributario.

Il giudice di primo grado, CTP di Lecce, gli ha dato ragione, così come quello d’appello, CTR Puglia sezione Lecce, cui nel frattempo era ricorsa l’Agenzia delle entrate. Il motivo è presto detto: secondo i giudici tributari tale indennità ha natura risarcitoria, ergo niente tassazione.

Vista la mala parata, la Pubblica Amministrazione ha proposto ricorso in Cassazione. E i Supremi giudici, come talora accade, hanno ribaltato le precedenti decisioni, sostenendo, in sintesi, questo: ex articolo 51, comma 1, Tuir, “il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”, per cui, discendendo tale erogazione dal rapporto sottostante, deve essere tassata; e non rifatevi a quanto stabilito ex articolo 6, comma 2, Tuir – ammoniscono – perché se anche risarcimento fosse, esso riguarderebbe una perdita reddituale e non un danno emergente, rimanendo dunque tassabile.

Ecco esposte, in massimo sunto, le tesi che si contrappongono. Per non parlare poi di coloro che sostengono una natura mista delle nostra indennità, ossia un po’ reddituale e un po’ risarcitoria. Vorrei capire da costoro come farebbero, in maniera non empirica, a dirci quanto va soggetto a imposta e quanto no.

Ecco il guazzabuglio in mezzo al quale ci troviamo a operare. Visto che la tesi maggioritaria propende per la tassazione dell’indennità, pare dunque prudente adeguarsi, pur capendoci il giusto. Il datore di lavoro provvede a tassare l’erogazione; sarà poi il ricevente ad attivarsi se è di parere contrario (e sopra abbiamo visto com’è andata a finire).

Per non parlare poi, una volta risolta la nostra domanda, del tipo di tassazione da applicare; ordinaria o separata?

Ma lasciamo stare questo; non facciamoci troppe domande assieme. Semmai ne riparleremo.

 

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