Consulenti curatori, chissà se è vera conquista
di Riccardo GirottoApprendiamo dalle relazioni tenute agli Stati generali dei consulenti del lavoro, la realizzazione definitiva della riforma sulla crisi d’impresa. Il D.Lgs. contenente il nuovo testo concluderà un iter estremamente travagliato, avviato per regolare un tema che, ad oggi, risulta profondamente mutato rispetto al momento in cui si è cominciato a scriverlo; ma, tant’è, le evoluzioni della politica e i colori che si susseguono al potere, non guardano in faccia l’impellente bisogno di riforme che il nostro Paese continua a lamentare.
Con questa notizia accogliamo con vero piacere un’ulteriore conquista per la categoria dei consulenti del lavoro, che, proprio grazie all’impegno della commissione Rordorf, vengono inseriti a pieno titolo tra i soggetti abili a svolgere il ruolo di curatori, commissari e liquidatori, chiaramente limitatamente alle aziende interessate a questioni inerenti ai rapporti di lavoro.
I consulenti hanno frequentato assiduamente, negli ultimi 15 anni, la palestra della crisi d’impresa, possono quindi vantare ampie competenze in tema di questioni tanto bollenti quanto delicate: procedure di licenziamento, ammortizzatori, politiche attive (assenti), relazioni sindacali, accordi gestionali, etc..
Resta da capire qual è il fine di tale coinvolgimento. Se davvero, come sembra, il consulente viene chiamato in causa per le sue competenze specifiche, tale scelta indirettamente pone in primo piano l’ambito occupazionale in tema di crisi. Si è sempre cercato di valorizzare la salvaguardia della popolazione aziendale, ma ora si assegna addirittura competenza specifica a chi questi fenomeni può governarli con cognizione. Le risorse umane diventano centrali nella crisi e solo chi davvero è in grado di maneggiare la materia può esserne la guida.
Se questa ratio è quella corretta, e a me piace pensare così, sarà proprio in sede di nomina che il Tribunale potrà valutare il professionista più competente a seconda delle specifiche caratteristiche dell’azienda decotta, ponendo in pole il consulente del lavoro nel caso di crisi accompagnata da imponente conseguenza occupazionale.
Esiste, però, una possibile ratio più triste, che potrebbe aver ispirato, e mi rifiuto di pensarlo, l’estensore del decreto. Da sempre i consulenti rivendicano anche competenze in tema fisco/contabile, legittime e giustificate, che ne assimilano l’attività a quella di professionisti di altra estrazione. Bene, l’inserimento dei consulenti tra gli organi della procedura potrebbe semplicemente aver teso a un riconoscimento, finalizzato ad omogeneizzare le riserve delle altre professioni contabili. Nulla di male in tutto questo, ma il percorso di specializzazione e il riconoscimento del personale quale aspetto cardine dell’azienda, in questo secondo caso, non riesco proprio a coglierlo.
Non si sorvoli poi sulle competenze trasversali che deve vantare un curatore (così come il commissario e il liquidatore), competenze che richiedono esperienza e studio approfondito. Una volta nominati, i consulenti del lavoro dovranno affrontare la procedura in ogni suo aspetto, consci che celerità e certezza sono 2 concetti difficili da coordinare, ma dalla necessaria convivenza nelle crisi vigilate. Tutto questo espone a grandi responsabilità, rischi del mestiere che comunque mai hanno spaventato i liberi professionisti. Non sarebbero tali, altrimenti.
Un mondo nuovo, certo in parte già visitato, dove i consulenti non saranno più ospiti, bensì protagonisti, nella speranza che il D.Lgs. sia seguito anche dalla fiducia dei Tribunali, perché una nuova conquista non equivale a lavoro sicuro. Il tempo dirà sempre la verità, come è successo in questi 40 anni di sviluppo della professione.
Ai colleghi che vorranno cimentarsi in questa nuova avventura dedico un grande in bocca al lupo, ma soprattutto auguro buone e prolifiche sessioni di studio.
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