Inabilità sopravvenuta del lavoratore: quali procedure può adottare il datore di lavoro?
di Michele DonatiLa constatazione dello stato di salute del lavoratore nell’ambito del rapporto di lavoro costituisce sempre un accertamento estremamente sensibile; si tratta, infatti, di un territorio estremamente delicato e scivoloso, in quanto crocevia di interessi e tutele identici e contrapposti allo stesso tempo.
Da un lato, infatti, merita tutela la sfera personale del lavoratore. Ma risulta egualmente decisiva e rilevante la conoscenza, da parte aziendale, delle reali e concrete condizioni di salute dei propri dipendenti; e ciò per una duplice ragione: da un lato, il datore deve garantire che l’assegnazione delle mansioni ricada su oggetti concretamente in grado di svolgere le stesse, e, dall’altro, collegato, si vuole quindi evitare che un’eventuale asimmetria informativa circa le effettive condizioni del prestatore possa impedire una corretta rispondenza delle mansioni assegnate.
Le premesse appena esposte sono alla base del dettato normativo in materia, incentrato su due capisaldi: la tutela della riservatezza della sfera personale del lavoratore (abbinata anche alla volontà di evitare atteggiamenti discriminatori legati proprio alle condizioni di salute personale del lavoratore stesso), ma anche del legittimo (e per certi versi tutelante nei confronti dei dipendenti) diritto di informazione aziendale.
L’articolo 41, D.Lgs. 81/2008, stabilisce le linee guida della sorveglianza sanitaria, prevedendo la possibilità di effettuare controlli in ipotesi di:
- casistiche previste dalla normativa vigente, dalle Direttive Europee e dalle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva istituita presso il Ministero del lavoro;
- nei casi in cui sia lo stesso lavoratore a farne richiesta.
La sorveglianza sanitaria può concretizzarsi nei seguenti momenti:
- la visita medica preassuntiva, volta a verificare la sussistenza delle condizioni di salute affinché il lavoratore possa svolgere le mansioni a lui assegnate;
- le visite periodiche, volte a verificare la permanenza delle condizioni necessarie per lo svolgimento delle mansioni assegnate;
- la visita effettuata su richiesta (suffragata da valide ragioni) espressa dal lavoratore;
- le visite conseguenti al mutamento delle mansioni;
- le visite (se previste) da effettuarsi al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
L’esito delle visite di cui sopra può prevedere:
- idoneità alle mansioni assegnate;
- inidoneità parziale (temporanea o permanente);
- inidoneità temporanea (con annessa indicazione dell’arco temporale di impossibilità);
- inidoneità assoluta.
In caso di inidoneità assoluta non temporanea i riflessi sul rapporto di lavoro possono essere importanti, in relazione soprattutto all’individuazione delle concrete modalità di prosecuzione della prestazione lavorativa, e, di riflesso, alla valutazione tra la conservazione del posto e l’eventuale impossibilità al mantenimento in servizio. In questo senso la giurisprudenza, anche più recente, ha sviluppato due filoni di pensiero.
Uno, più tradizionale, mira a considerare la sopravvenuta inidoneità alla stregua del venir meno della possibilità di poter svolgere (in senso più ampio) la mansione originariamente assegnata (analogamente a quanto, ad esempio, accade in seguito alla soppressione del posto di lavoro). In questo caso il datore di lavoro è tenuto a fare una mera ricognizione delle posizioni vacanti in azienda e a verificare se ve ne sono di compatibili con le capacità professionali del lavoratore stesso (anche alla luce della potenziale volontà manifesta di questi di accettare un deterioramento della sua posizione, al fine di tutelare la conservazione del posto di lavoro, in linea quindi con l’orientamento, già esistente, e di certo rafforzato dal novellato articolo 2103 cod. civ.).
Un filone giurisprudenziale complementare, invece, tende ad avallare la tesi secondo cui non è sufficiente limitarsi a effettuare la disamina appena esposta, ma reputa corretto analizzare la fattispecie che viene a concretizzarsi, nell’alveo della disciplina del collocamento mirato disciplinato dalla L. 68/1999 (si sposa di fatto l’assunto che all’inabilità sopravvenuta consegua uno stato di disabilità, da considerare, ad ogni modo, caso per caso). In questo caso il datore di lavoro non può, quindi, limitarsi alla mera ricognizione di cui sopra, ma deve adottare comportamenti attivi legati alla conservazione del posto di lavoro, che concretamente possono anche prevedere l’adozione di accorgimenti, quali ad esempio interventi di adeguamento dei locali e delle attrezzature aziendali.
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