25 Ottobre 2018

Il patto di stabilità nel lavoro subordinato

di Roberto Lucarini

Esiste una specifica pattuizione, utilizzabile nei rapporti di lavoro subordinati, grazie alla quale si riesce ad ottenere una garanzia di stabilità nella durata del contratto. Tale clausola, o patto contrattuale, viene denominato in vari modi: patto di stabilità, clausola di durata minima, patto di permanenza o clausola di fidelizzazione. Si parla, sia ben chiaro, dei rapporti a tempo indeterminato; nei contratti a termine, di fatto, tale stabilità risulta già sussistente.

Con tale pattuizione una parte, o entrambe, si impegnano affinché un contratto di lavoro subordinato, a tempo indeterminato, abbia una durata minima garantita; non risulta dunque effettuabile un recesso, salvo il caso di giusta causa, pena il risarcimento del danno.

In poche righe si possono far rilevare soltanto i tratti essenziali di tale clausola, da cui derivano le principali attenzioni che l’operatore dovrà riservarle. Come detto, potrà aversi un impegno unilaterale al rispetto della durata minima: da parte del datore verso il lavoratore o viceversa; ovvero un impegno bilaterale che coinvolga entrambi gli attori.

Nel caso di impegno da parte del datore a favore dal lavoratore, per una durata minima garantita, non si rilevano specifici problemi, stante il fatto che tale fattispecie aumenta la garanzia per la parte debole del rapporto. Nel caso inverso, invece, si pone il problema della rinuncia del lavoratore a un proprio diritto, sia pure di tipo disponibile: in tale evenienza, quindi, occorre che tale concessione abbia, quale bilanciamento, una propria specifica remunerazione.

Altra questione di rilievo è legata alla durata del patto, ossia al limite massimo che può essere inserito in una simile clausola a limitazione della facoltà di recesso. Ricordando, anzitutto, che non vi è norma che stabilisca con precisione un tale limite, appare tuttavia logico che tale periodo di stabilità garantita non travalichi una durata che debba ritenersi congrua; azzardare delle indicazioni temporali è, a mio avviso, un azzardo. Non è possibile limitare la facoltà di recesso troppo a lungo; fin qui ci siamo. Il quantum di durata, però, non è standardizzabile, dovendosi tenere conto di numerosi fattori caratterizzanti il rapporto. Si pensi, ad esempio, al particolare ruolo svolto dal lavoratore, oppure a un’eventuale rilevante spesa sostenuta per la sua formazione. La durata, quindi, dovrà essere ben calibrata e, se del caso, giustificata da fattori oggettivi.

Vi è poi il profilo risarcitorio, che si manifesta nel caso di violazione del patto di stabilità; esso risulta valorizzabile in maniere distinte a seconda del soggetto inadempiente. A grandi linee possiamo dire: nel caso di inadempienza da parte del datore, il danno in favore del lavoratore risulta manifesto nella perdita retributiva del periodo residuo, garantito, ma non lavorato; nel caso di inadempienza da parte del lavoratore il risarcimento sarà quello in genere previsto, per un motivo di necessaria quantificazione ex ante, nel patto stesso. A tutto questo, però, si aggiunge anche il problema legato al preavviso di recesso; l’esistenza di un patto di stabilità, infatti, non esclude ex se l’onere di preavviso sul recedente. Anche in tale situazione, dunque, si rilevano distinzioni tra: casi di violazione del patto, ma con notifica di preavviso; situazioni di violazione con recesso immediato.

Per provare a chiarire questi concetti si propone uno schema che prevede il recesso, in varie casistiche, da parte di un lavoratore:

 

Situazione operativa Conseguenza giuridica sul piano risarcitorio
Il lavoratore recede durante il periodo di garanzia senza preavviso Erogazione del risarcimento del danno e dell’indennità di mancato preavviso
Il lavoratore recede durante il periodo di garanzia dandone preavviso Erogazione del risarcimento del danno
Il lavoratore recede al termine del periodo di garanzia senza preavviso Erogazione dell’indennità di mancato preavviso
Il lavoratore recede al termine del periodo di garanzia dandone preavviso Nessuna erogazione

Da quanto sopra emerge come il patto di stabilità possa essere un valido strumento per la gestione contrattuale di alcune peculiari casistiche operative; allo stesso tempo, tuttavia, occorre tener ben presente come per il suo utilizzo vadano adottate diverse precauzioni.

 

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