27 Giugno 2018

Il parere dell’Ispettorato sul divieto di retribuzione in contanti

di Carmine Santoro

L’INL, con nota n. 4538/2018, fornisce importanti chiarimenti sulla nuova disciplina, in vigore dal 1° luglio 2018, che ha vietato la corresponsione della retribuzione in contanti.

Secondo l’Ispettorato, devono ritenersi esclusi dalla portata del divieto i compensi derivanti da borse di studio, tirocini, rapporti autonomi di natura occasionale. Inoltre, l’orientamento ispettivo non riconosce il beneficio della diffida di cui all’articolo 13, comma 2, D.Lgs. 124/2004, trattandosi di illecito non materialmente sanabile.

 

Il divieto di erogazione della retribuzione in contanti: la disciplina

L’articolo 1, comma 910, L. 205/2017 (Legge di Bilancio per il 2018), ha stabilito che, a far data dal 1° luglio 2018, i datori di lavoro o committenti debbano corrispondere ai lavoratori la retribuzione, nonché ogni anticipo di essa, esclusivamente attraverso strumenti di pagamento “tracciabili”, ivi individuati. È stato, così, introdotto un divieto generale di corresponsione in contanti delle varie voci retributive.

Si deve, invero, ritenere, che l’espressione omnicomprensiva di “retribuzione” utilizzata dal Legislatore comprenda ogni singola componente della paga erogata al lavoratore, quale corrispettivo della prestazione lavorativa. Sicché, vi rientrano le maggiorazioni per lavoro straordinario e per lavoro notturno, i premi di produzione, gli incentivi, le indennità di trasferta, etc., previsti da qualunque livello contrattuale, nonché i superminimi assegnati ad personam. Nella stessa logica, peraltro, non dovrebbero rientrarvi i rimborsi spese, i quali non costituiscono corrispettivo delle prestazioni eseguite dal lavoratore, ma semplicemente la restituzione di somme da costui anticipate.

La finalità dichiarata nella relazione al citato disegno di legge è quella di contrastare il fenomeno dell’erogazione ai lavoratori di retribuzioni inferiori ai minimi contrattuali, risultanti falsamente regolari dai cedolini paga. Peraltro, la finalità della legge appare anche diretta a disincentivare, in generale, passaggi di danaro non tracciabili, i quali alimentano il deleterio e diffuso fenomeno dell’economia sommersa.

Occorre puntualizzare che il dato letterale della nuova disciplina punisce il passaggio di denaro non tracciabile in sé stesso considerato, anche quando regolarmente registrato nella documentazione aziendale e assoggettato a tassazione e contribuzione previdenziale. Da questo punto di vista, quindi, non bisogna confondere, la dazione in contanti, punita in ogni caso con il nuovo regime normativo, con la dazione “in nero”, punita anche con altre disposizioni. È chiaro che il nuovo regime normativo comprende in sé entrambe le condotte e, quindi, in caso di “nero” concorrerà con le violazioni previste, ad esempio, per le omesse o infedeli registrazioni sul LUL (articolo 39, commi 1 e 2, D.L. 112/2008). Tuttavia, la formulazione della legge non consente di ritenere scriminato l’adempimento in contanti che corrisponda quantitativamente a quanto registrato sul LUL e correttamente comunicato al lavoratore e agli Enti previdenziali.

Pertanto, per riassumere, la violazione in argomento si applica alle seguenti ipotesi:

  1. erogazione di retribuzione inferiore ai minimi contrattuali, risultante regolare dai cedolini paga;
  2. erogazione di retribuzione integralmente in nero;
  3. erogazione di retribuzione parzialmente in nero (c.d. fuori busta).

All’opposto, nonostante l’eventuale “nero”, la violazione non si configura se il pagamento avviene con un mezzo tracciabile indicato dalla legge. Ovviamente, in caso di erogazioni non assoggettate alle ritenute di legge, troveranno applicazione le sanzioni previste.

Ai sensi del comma 912, l’obbligo di retribuzione trasparente si applica ai rapporti di lavoro subordinato di cui all’articolo 2094 cod. civ., indipendentemente dalla durata e dalle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nonché ai contratti di lavoro stipulati in qualsiasi forma dalle cooperative con i propri soci. Peraltro, il comma 911 sembra estendere la portata del divieto a tutti i rapporti di lavoro, siano essi autonomi o subordinati, nella misura in cui dispone che “i datori di lavoro o committenti non possono corrispondere la retribuzione per mezzo di denaro contante direttamente al lavoratore, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato”. In effetti, la menzionata ratio antiabusiva di contrasto all’economia sommersa sembra confortare l’interpretazione estensiva, giacché qualunque pagamento in contanti, effettuato tanto nell’ambito di rapporti subordinati quanto in quelli autonomi, potrebbe alimentare i circuiti della detta economia. Tuttavia, si osserverà che l’Ispettorato esprime un parere diverso.

Restano, invece, esclusi, per espressa previsione, i rapporti di lavoro instaurati con le P.A., di cui all’articolo 1, comma 2, D.Lgs. 165/2001, normalmente non coinvolte nell’economia sommersa, nonché i rapporti di lavoro domestico, al fine evidente di agevolare quei soggetti datoriali non “strutturati”, quali sono le famiglie.

Le modalità elencate attraverso le quali effettuare la corresponsione della retribuzione sono costituite dai seguenti strumenti:

  • bonifico sul conto identificato dal codice Iban indicato dal lavoratore;
  • strumenti di pagamento elettronico;
  • pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;
  • emissione di assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato.

Secondo la previsione dell’ultimo periodo del comma 912, la firma apposta dal lavoratore sulla busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione. Tale disposizione recepisce un consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui “è onere del datore di lavoro di consegnare ai propri dipendenti i prospetti contenenti tutti gli elementi della retribuzione (conformemente al disposto anche degli artt. 1 e 3 della legge n. 4 del 1953) e che, comunque, i detti prospetti, anche se eventualmente sottoscritti dal prestatore d’opera con la formula “per ricevuta”, non sono sufficienti per ritenere delibato l’effettivo pagamento, potendo costituire prova solo dell’avvenuta consegna della busta paga e restando onerato il datore di lavoro, in caso di contestazione, della dimostrazione di tale evento”.

Per la violazione delle disposizioni descritte è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 5.000 euro. Come già notato, tale illecito può sovrapporsi ad altre ipotesi già previste come violazioni dalla legge: l’esempio più illuminante è quello del c.d. fuori busta del lavoro straordinario, già punito dall’articolo 39, commi 1 e 2, D.L. 112/2008, sub specie di infedeli registrazioni sul LUL. In casi simili, potrebbe trovare applicazione, in quanto più favorevole, il cumulo giuridico previsto per il concorso formale di cui all’articolo 8, L. 689/1981, con applicazione della violazione più grave – in questo caso la corresponsione in contanti della retribuzione – aumentata sino al triplo.

 

La nota dell’Ispettorato

Secondo l’impostazione dell’INL, il tenore letterale e della ratio della norma fa ritenere che la violazione in oggetto risulti integrata:

  1. quando la corresponsione delle somme avvenga con modalità diverse da quelle indicate dal Legislatore;
  2. nel caso in cui, nonostante l’utilizzo dei predetti sistemi di pagamento, il versamento delle somme dovute non sia realmente effettuato, ad esempio, nel caso in cui il bonifico bancario in favore del lavoratore venga successivamente revocato ovvero l’assegno emesso venga annullato prima dell’incasso; in tali casi emerge, a detta dell’INL, una condotta elusiva del datore di lavoro, che lede la ratio della disposizione. Si noti che, in tal caso, la violazione si configura nonostante l’insussistenza di dazioni in contanti.

Secondo l’Ispettorato, devono altresì ritenersi esclusi dalla portata del divieto, in quanto non richiamati espressamente dal comma 912, i compensi derivanti da borse di studio, tirocini, rapporti autonomi di natura occasionale.

Tuttavia, per questi ultimi, si è sopra osservato che la lettera del comma 911, e la ratio dell’intero impianto normativo, sembrano ricomprendere tutte le tipologie di rapporti di lavoro. Viceversa, per borse di studio e indennità di partecipazione dei tirocini l’interpretazione dell’INL è pienamente condivisibile, posto che in entrambe le ipotesi si è senz’altro fuori dal concetto di retribuzione.

Il vertice ispettivo osserva che la finalità antielusiva della norma risulta avvalorata dalla citata previsione dell’ultimo periodo del comma 912, a mente del quale la firma apposta dal lavoratore sulla busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione. Ne consegue che, ai fini dell’accertamento e della contestazione dell’illecito, l’Ispettorato ritiene necessaria la verifica dell’organo ispettivo non soltanto dell’avvenuta disposizione di pagamento, attraverso gli strumenti consentiti dalla legge, ma anche del buon fine dell’operazione (si veda sopra, sub b).

In relazione alla fase di accertamento e contestazione dell’illecito al trasgressore, il vertice ispettivo rammenta l’applicazione delle disposizioni di cui alla L. 689/1981 e al D.Lgs. 124/2004, ad eccezione del potere di diffida di cui all’articolo 13, comma 2, D.Lgs. 124/2004. Nell’ottica dell’Ispettorato, infatti, quello in argomento è illecito non materialmente sanabile. Peraltro, non sembra che la violazione sia insanabile sul piano materiale secondo il disposto dell’articolo 13, comma 2, D.Lgs. 124/2004, come riformato dall’articolo 33, L. 183/2010 (Collegato lavoro). Piuttosto, lo è sul piano giuridico del recupero dell’interesse leso dalla stessa, dal momento che l’avvenuta corresponsione in contanti della retribuzione pregiudica già la ratio del precetto di legge, che si è osservato essere la trasparenza dei trasferimenti pecuniari e il contrasto all’economia sommersa. Sicché, è vero che la dazione impedisce alla nuova disciplina di raggiungere il proprio scopo, ma non che la condotta illecita sia materialmente insanabile, giacché sarà sempre possibile “materialmente” corrispondere con mezzi tracciabili i medesimi emolumenti già erogati in contanti. È, poi, ovvio che un tale adempimento tardivo sarebbe privo di senso sul piano della ratio giuridica, essendosi già irrimediabilmente prodotta la lesione all’interesse tutelato. In ogni caso, occorre registrare il parere negativo dell’INL, vincolante per il personale ispettivo, in ordine alla possibilità della diffida.

Pertanto, la sanzione può essere determinata, in sede ispettiva, esclusivamente nella misura ridotta di cui all’articolo 16, L. 689/1981. L’autorità competente a ricevere il rapporto, ai sensi dell’articolo 17, L. 689/1981, è da individuare nell’Ispettorato territoriale del lavoro.

L’INL rammenta anche che avverso il verbale di contestazione e notificazione adottato dagli organi di vigilanza, di cui all’articolo 13, comma 7, D.Lgs. 124/2004, è possibile presentare ricorso amministrativo al direttore della sede territoriale dell’INL, ai sensi dell’articolo 16, D.Lgs. 124/2004, entro 30 giorni dalla sua notifica. Entro il medesimo termine è altresì possibile presentare scritti difensivi alla medesima autorità ispettiva, che riceve il rapporto ai sensi dell’articolo 18, L. 689/1981. Per completezza, appare utile segnalare che, invece, non è ammissibile il ricorso al Comitato per i rapporti di lavoro di cui all’articolo 17, D.Lgs. 124/2004, giacché la materia su cui si controverte non riguarda la sussistenza e la qualificazione dei rapporti di lavoro, nozioni entro le quali la legge circoscrive la competenza dell’organo decisorio.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza“.

 

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