30 Maggio 2018

Il punto sui rapporti di lavoro nello sport dilettantistico

di Riccardo Girotto

Le prestazioni lavorative nello sport dilettantistico sono sempre state oggetto di profonde incertezze circa la loro riconducibilità a l’una o l’altra tipologia negoziale, specificamente tipizzata dalla disciplina giuslavoristica. Il dubbio pareva fondato primariamente sulla reale riconducibilità delle prestazioni sportive dilettantistiche a lavoro o ad altra circostanza relazionale diversa (svago, beneficenza, volontariato etc.).

È indubbio che, qualora si parlasse di “rapporto di lavoro”, l’applicazione del codice dei contratti ordinato dal D.Lgs. 81/2015 risulterebbe scontata e con essa la norma di assorbimento prevista dall’articolo 1. Tutto ciò che è “rapporto di lavoro”, con l’ambizione di escludere l’inclusione in questa previsione, dovrà quindi soggiacere a precisa ed espressa previsione di Legge derogatoria della perentoria previsione.

Anche lo sport dilettantistico, qualora protagonista di rapporti di lavoro, necessita quindi di identificare la propria posizione.

 

La difficile qualificazione del lavoro dilettantistico

Le 2 possibili fonti di inquadramento delle fattispecie sportive, fino all’entrata in vigore della Legge di Bilancio 2018, erano rinvenibili nell’articolo 67, comma 1, lettera m, Tuir, e nell’articolo 2, comma 2, lettera d, D.Lgs. 81/2015. Le interpretazioni sull’applicazione di queste 2 previsioni si sono sprecate, soprattutto in merito alla possibile identificazione di 2 fattispecie completamente diverse e alternative, oppure all’assimilazione delle stesse considerando, ad esempio, le prestazioni amministrativo-gestionali come rese sempre e comunque ai fini istituzionali.

La fase di ambiguità, da un lato, limitava gli operatori cauti, romantici sognatori della certezza del diritto, dall’altro incentivava gli operatori più spregiudicati pronti a incunearsi nei fiordi del diritto, consci delle difficoltà che anche gli organi ispettivi avrebbero incontrato nel contestarne le condotte.

Dal canto suo, proprio l’INL, nel 2016, con circolare a seguito di una giurisprudenza che, in modo piuttosto ondivago, stentava ad assecondare l’azione ispettiva, forniva alcuni input al proprio braccio operativo per le operazioni di riqualificazione dei rapporti sportivi. Il passo dominante la prassi tendeva proprio a sganciare le prestazioni sportive dall’impianto giuslavoristico generale: “la volontà del legislatore … è stata certamente quella di riservare ai rapporti di collaborazione sportivo-dilettantistici una normativa speciale, volta a favorire e ad agevolare la pratica dello sport dilettantistico, rimarcando la specificità di tale settore che contempla anche un trattamento differenziato rispetto alla disciplina generale che regola i rapporti di lavoro”.

 

Lo sdoppiamento delle società dilettantistiche e gli effetti sui rapporti di lavoro

La Legge di Stabilità per il 2018 prova a rispondere all’esigenza di chiarezza e ordine normativo, per il tramite di un pacchetto di previsioni utili sia a qualificare (definitivamente?) il lavoratore sportivo, sia a introdurre una nuova divaricazione tra le modalità di svolgimento dell’attività dilettantistica.

In prima battuta, per il tramite del comma 358 si precisa che le prestazioni di cui all’articolo 2, comma 2, lettera d), D.Lgs. 81/2015, individuate dal Coni ai sensi dell’articolo 5, comma 2, lettera a), D.Lgs. 242/1999, costituiscono oggetto di contratti di collaborazione coordinata e continuativa.

Condivisibile o meno, questo assunto non pare certo privo di chiarezza nel testo, pur evidenziando una certa tautologia definitoria, stante che la fonte richiamata cita testualmente una garanzia di genuinità delle collaborazioni coordinate e continuative rese ai fini istituzionali nel settore dello sport dilettantistico, anche in presenza di etero-organizzazione.

Si è continuato a ignorare, invece, ma non era compito del pacchetto Lotti fare chiarezza sul tema, l’esigenza di definire la reale natura delle co.co.co., posto che il Codice dei contratti perde una grande occasione rifiutandosi di precisarne i requisiti costitutivi, limitandosi invece a richiamare i rischi di applicazione della normativa sul lavoro subordinato. Ne deriva che nel nostro ordinamento, e non è certo fatto di cui vantarsi, la norma definitoria di una tipologia contrattuale molto diffusa deve scovarsi un una disposizione procedurale, l’articolo 409 c.p.c., che non nasce certo per regolare le modalità di svolgimento dei rapporti, bensì li nomina solo per richiamarne l’inclusione nella procedura stessa.

Il combinato dei 2 aspetti richiamati ribadisce, quindi, che quelle rese ai fini istituzionali sono collaborazioni coordinate e continuative, e la deroga all’articolo 2, comma 1, D.Lgs. 81/2015, appunta che queste collaborazioni possono ritenersi genuine e autonome anche nel caso fossero etero-organizzate.

Per comprendere, però, quali siano davvero le collaborazioni coordinate e continuative attivabili nello sport dilettantistico, è necessario attendere la parola del Coni, ente che, investito ufficialmente, pare latitare nel completamento dell’opera.

In attesa, quindi, che il Coni si esponga, con il risultato di sigillare alcune collaborazioni, ma condannare definitivamente quelle che non saranno incluse, la precisazione della Legge di Stabilità non può che rimanere sospesa.

Ulteriore passo in avanti del Legislatore è stato, come accennato, quello dello sdoppiamento delle opzioni per lo svolgimento dell’attività sportiva dilettantistica esercitabile tramite società lucrative, ma anche per il tramite di società non lucrative. Anche in questo caso gli effetti della disposizione non paiono immediatamente fruibili, stante l’inerzia del Coni, che sarà responsabile del riconoscimento, e quindi della legittimazione, a potersi fregiare di tale titolo.

Le 2 diverse discipline aprono un tema di rilievo assoluto, quale quello dell’inquadramento lavoristico delle collaborazioni e, indirettamente, di quello fiscale e previdenziale. Dal punto di vista lavoristico il testo di legge, al comma 359, parla chiaro: nelle società non lucrative le collaborazioni producono redditi diversi, mentre nelle società lucrative producono redditi assimilati a quelli da lavoro dipendente. Anche dal punto di vista previdenziale, si scende al comma 360, la Legge di Bilancio 2018 regola nuovi aspetti impositivi. Nelle società lucrative, assunto, infatti, che trattasi di collaborazioni coordinate produttive di redditi assimilati a lavoro dipendente, la soggezione risulta scontata, ma con la specifica previsione – tenuto conto della ratio del pacchetto Lotti e delle risicate disponibilità del settore – di un’aliquota previdenziale agevolata, proponendo una riduzione al 50% delle aliquote previdenziali per i primi 5 anni per ogni collaboratore impiegato presso le società lucrative.

Per contro, verrà ridotto proporzionalmente l’accredito contributivo, nonché saranno escluse forme di previdenza diverse rispetto all’Ivs. Su questo aspetto pesano 2 ovvie considerazioni:

  1. la prima riguarda il periodo agevolato, in quanto il testo riporta 5 anni “dall’entrata in vigore della presente disposizione”: stante l’attuale inapplicabilità della stessa, il periodo di 5 anni risulta ridotto ancor prima di essere stato testato;
  2. la seconda riguarda il rapporto tra obbligo e facoltà. Infatti se la riduzione dell’aliquota fosse un obbligo, come pare, finalizzato ad agevolare le società lucrative e non i collaboratori, si creerebbero indubbiamente effetti distorsivi e discriminanti verso quei collaboratori che, per anni, hanno versato aliquota piena e ora si trovano per un periodo, nemmeno breve, impotenti verso la riduzione dell’accredito contributivo. Per quanto riguarda, invece, i collaboratori delle società non lucrative, trattandosi di redditi diversi, la soggezione previdenziale risulta esclusa, anche se la giurisprudenza sul tema non pare unanimemente allineata.

Ad oggi, quindi, nulla di quanto introdotto dalla Legge di Bilancio pare propriamente attuabile, tanto da non poterne direttamente misurare le conseguenze, fino al completamento degli aspetti applicativi delle normative in questione, pertanto la sorta di limbo in cui operavano i lavoratori dello sport dilettantistico continua a permanere, forse con ancora più incertezza, considerate le novità annunciate.

 

La nuova disciplina fiscale marca l’intento delle collaborazioni sportive

La tendenza ad assistere le risicate disponibilità economiche del settore sportivo trova sfogo nell’estensione della no tax area per i redditi di cui all’articolo 67, Tuir, ampliata oggi a 10.000 euro in luogo dei precedenti 7.500, proprio per agevolare l’instaurazione di questi rapporti “leggeri” per le casse delle associazioni sportive non lucrative. La nuova declinazione della soggezione fiscale, pertanto, ad oggi risulta essere la seguente:

  • fino a 10.000 euro: no tax;
  • oltre 10.000 euro e fino a 30.658,28 euro: ritenuta a titolo d’imposta al 23%;
  • oltre 30.658,28 euro: ritenuta a titolo di acconto con aliquote progressive.

Dal combinato dei diversi commi della nuova Legge di Bilancio, pertanto, si potrà facilmente desumere come questa disciplina fiscale investa proprio le collaborazioni coordinate e continuative instaurate presso le società sportive non lucrative. Spontaneamente siamo a chiederci se, considerando inapplicabile ad oggi la nuova struttura delle collaborazioni sportive in attesa della parola del Coni, la nuova disciplina fiscale a queste dedicata possa comunque ritenersi applicabile. La risposta deve considerarsi affermativa, stante l’intervento operato direttamente nel Tuir, modificativo del testo e immediatamente vigente.

Ne deriva una novazione scoordinata dell’aspetto fiscale, che mirava a coniugare la nuova definizione delle collaborazioni e la loro collocazione nel caso di società non lucrative nei redditi diversi. Il risultato è stato il mero innalzamento della soglia di esenzione per collaborazioni ancora di dubbia definizione.

 

Il fantasma degli adempimenti amministrativi

Concludendo la disamina al buio delle nuove collaborazioni in ambito sportivo, non può sottacersi una certa preoccupazione da parte degli operatori del settore verso lo stuolo di adempimenti amministrativi connessi alla riconduzione delle prestazioni di settore alle collaborazioni coordinate e continuative. In precedenza, la prassi ministeriale aveva comunque minato il tranquillo anonimato di questi soggetti, che, in assenza di precisi obblighi documentali, risultavano impossibili anche solo da gestire.

Lo stato dell’arte ci porta ad assumere la nuova qualificazione con l’insieme degli adempimenti amministrativi connessi, che per le co.co.co. sono ben chiari, LUL e CO su tutti, adempimenti che per molte attività amministrativo-gestionali paiono davvero gravosi, tanto che i costi di gestione potrebbero lievitare finanche a minare il risicato margine che il sodalizio ottiene dall’impiego di queste figure.

La mancata opera di completamento applicativo da parte del Coni sospende ogni valutazione sulla necessità riguardo agli adempimenti richiamati, che interesseranno solamente le collaborazioni coordinate e continuative, pure quelle amministrativo-gestionali, con esclusione quindi degli sportivi puri: in attesa della parola del comitato, permane, però, con riferimento a questi soggetti, l’obbligo di compilazione della CU con relativo dichiarativo annuale 770. Nessun aggravio, quindi, ma solo per ora.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Il giurista del lavoro“.

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