29 Maggio 2018

La trasformazione a tempo pieno del lavoro part-time non può essere imposta nei licenziamenti collettivi

di Luca Vannoni

La modificazione dell’orario del lavoratore a tempo parziale è esclusa dai poteri datoriali unilaterali in grado di conformare la prestazione di lavoro in base alle esigenze organizzative: la natura negoziale dello specifico vincolo, che richiede il consenso di entrambe le parti per una sua successiva modificazione, le regole specifiche – lavoro supplementare, clausole elastiche e flessibili – per la variazione temporanea dell’orario e la previsione per cui il rifiuto alla trasformazione, da tempo parziale a tempo pieno e viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento, confermano che ogni intervento sull’orario del part-time richiede il consenso del lavoratore.

Se, in passato, la giurisprudenza ha declinato tale principio in occasione di licenziamenti per gmo legati al rifiuto del lavoratore a passare a tempio pieno, in una nuova unità produttiva, in caso di chiusura di quella a cui precedentemente era assegnato (nella nota sentenza del Tribunale di Bologna 19 novembre 2012, una delle prime dopo la riforma dell’articolo 18 da parte della L. 92/2012, culminata con la reintegra della lavoratrice), con la recente ordinanza n. 10142 del 26 aprile 2018 la Corte di Cassazione affronta il tema in un contesto di un licenziamento collettivo.

Era stato previsto, in apposito accordo sindacale, come criterio di scelta del licenziamento collettivo la mancata accettazione di proposte aziendali di ricollocazione: un lavoratore part-time, avendole rifiutate in quanto imponevano una trasformazione a tempo pieno, era stato licenziato.

La Suprema Corte ha stabilito che l’accordo con il quale si definiscono le regole della procedura di licenziamento collettivo non può consentire implicitamente una modifica del regime dell’orario già esistente, in quanto oggetto di specifico accordo tra le parti e, conseguentemente, l’offerta di una condizione che incida sulla durata della prestazione è nulla, perché determina una modifica unilaterale del regime di part-time vietata dalla legge, e il licenziamento che ne è conseguito illegittimo. Anche in questo caso, la conseguenza è stata la reintegra piena del lavoratore, con diritto al risarcimento delle retribuzioni perse e versamento della relativa contribuzione.

È bene prestare attenzione: le forme di ricollocazione collettiva (o di repêchage individuale) di un part-time non possono essere influenzate da impossibilità legate alla necessità di avere un tempo pieno, in quanto rischiano di rendere illegittimo un licenziamento che apparentemente sembrerebbe trovare giustificazione in solide fondamenta, ma che si sgretolano rapidamente di fronte alle tutele di stabilità di orario per i lavoratori part-time.

 

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