18 Gennaio 2018

I fenomeni migratori contrattuali nel diritto del lavoro: il caso del lavoro intermittente 

di Marco Frisoni

Nell’epoca della globalizzazione, del continuo espandersi dei mezzi di comunicazione, della tecnologia e dell’informatica, in un’era nella quale assistiamo a una circolazione sempre più spinta delle infrazioni e delle persone anche attraverso massicci flussi migratori, appare curioso rilevare come, a ben vedere, anche il diritto del lavoro non sia rimasto immune da alcune fattispecie di vera e propria transumanza di natura contrattuale.

Lo spunto sorge dalla lettura della nota trimestrale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali sulle tendenze dell’occupazione relativa al terzo trimestre del 2017, dalla quale si ricavano, fra l’altro, alcuni spunti di interesse e riflessione in ordine alle tipologie contrattuali maggiormente incidenti sui livelli occupazionali complessivi.

In effetti, uno dei dati che, ictu oculi, emerge in maniera prepotente è l’incremento (per la verità già delineatosi nel secondo trimestre 2017) del ricorso al contratto di lavoro intermittente (che segna uno stupefacente aumento del 78%) e anche della somministrazione professionale di manodopera (+ 24% circa).

Orbene, al riguardo occorre precisare, a scanso di equivoci, che non è tutto oro ciò che luccica, nel senso che, come già accaduto nel passato, le informazioni fornite necessitano di un adeguato filtraggio, nonché di un’attenta interpretazione che tenga conto delle evoluzioni normative succedutesi nel tempo.

In effetti, il fortissimo innalzamento dei contratti di lavoro a chiamata è dovuto all’abrogazione del lavoro accessorio avvenuta con il D.L. 25/2017 (convertito nella L. 49/2017) e dalla successiva introduzione delle nuove prestazioni occasionali (e del Libretto di famiglia) in virtù della L. 96/2017, che, tuttavia, per effetto delle drastiche limitazioni oggettive e soggettive apposte dal Legislatore, non stanno riscuotendo un particolare successo e, pertanto, la relativa diffusione è incomparabile rispetto ai previgenti voucher.

Di conseguenza, si sta assistendo a un fenomeno già accaduto nel passato, assimilabile a una sorta di trasmigrazione negoziale, tale per cui, a fronte di una rimodulazione restrittiva nell’accesso a una determinata forma contrattuale flessibile (se non, addirittura, una vera e propria ablazione della stessa), si registra uno spostamento verso le altre forme di lavoro residuali nell’ordinamento.

Nel caso di specie, è evidente che, alla luce dell’eliminazione del lavoro accessorio e della minore appetibilità e/o praticabilità delle nuove prestazioni occasionali, molte delle prestazioni rese in precedenza ai sensi degli articoli 48 ss., D.Lgs. 81/2015, sono state dirottate nell’alveo del lavoro intermittente, determinandone l’impressionante aumento a livello di utilizzo.

D’altro canto, la subitanea abrogazione del sistema dei voucher, se da un lato ha posto fine a un evidente abuso dello strumento contrattuale (legittimato tuttavia dalle maglie larghe della normativa di riferimento), da un altro versante ha sottratto ai committenti che vi si approcciavano genuinamente uno formidabile (e spesso indispensabile) strumento di buona flessibilità ed era inimmaginabile che tutti i prestatori di lavoro accessorio potessero essere stabilizzati con ordinario contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Ecco, dunque, in parte spiegate le ragioni del nuovo massivo uso di lavoro a chiamata, somministrazione di manodopera (anche con il meccanismo a monte ore garantito, “MOG”), lavoro a tempo determinato e lavoro autonomo occasionale (da non confondersi con le summenzionate prestazioni occasionali ex L. 96/2017) di cui all’articolo 2222 cod. civ., nuove famiglie che, a vario titolo, hanno accolto i flussi migratori provenienti dall’ambito del lavoro accessorio non ulteriormente raggiungibile.

Che il lavoro a chiamata sia divenuto un’esigenza sembra anche manifestato dalla recente ipotesi di rinnovo del Ccnl per il settore dell’autotrasporto merci e logistica del 3 dicembre 2017, nella quale le parti sociali, tenendo saggiamente conto delle modifiche normative nel tempo intervenute, hanno rimosso l’incomprensibile divieto di utilizzo del lavoro a chiamata, che, peraltro, diede adito a non poche problematiche operative e culminò nella nota n. 18194/2016, formulata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali in materia di lavoro a chiamata, che, sancendo la legittimità di simili statuizioni collettive, precisò che la conseguenza della violazione delle stesse integrava una carenza in ordine alle condizioni legittimanti l’utilizzo di tale forma contrattuale e la conseguente applicazione della sanzione della conversione in rapporto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato.

 

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